sabato 4 febbraio 2012

SESSO, BUGIE E SIGARETTE

Il seguente articolo può essere meglio apprezzato dopo una buona dose di caffé e, soprattutto, dopo aver rivisto il pilot di Mad Men (Smoke Gets in Your Eyes) e visto (o rivisto) The Apartment di Billy Wilder. (Quel che segue contiene SPOILER della prima stagione dello show e leggeri SPOILER delle stagioni successive).



1. L'ufficio/L'appartamento

The Crowd, King Vidor, 1928

In Historicizing Visual Style in Mad Men, Jeremy G. Butler ricostruisce la genealogia cinematografica dell'ufficio della Sterling & Cooper a partire dall'ufficio di The Apartment di Billy Wilder. Come Wilder (o meglio, come il grande scenografo Alexandre Trauner), Weiner immagina l'ufficio della S&C sul modello impersonale di quello di The Crowd di King Vidor, separando poi lo spazio privato (e protetto) dei dirigenti (corporativi e, nel caso di MM, anche creativi) dal vulnerabile e indistinto open space nel quale lavorano gli impiegati di medio livello, specificamente Joan e Peggy.

The Apartment, Billy Wilder, 1961

Non solo. Per quel che concerne le scene girate in ufficio, Butler nota che Weiner mutua da Wilder anche lo stile di ripresa, dominato da inquadrature (sovente dal basso) che mostrano/rivelano l'incombente soffitto costellato da luci al neon rettangolari che definiscono l'orizzonte oppressivo del lavoro: una gabbia geometrica nei confronti della quale i vari personaggi possono intrattenere relazioni assai diverse.

Agli antipodi, Don si muove nello spazio fluorescente della S&C con assoluta padronanza mentre Peggy ne subisce angosciosamente la prepotenza (nel secondo episodio, per esempio, lo smarrimento e, soprattutto, la vulnerabilità di Peggy vengono magistralmente descritti nella scena in cui gli impiegati maschi — financo l'omosessuale represso Salvatore — approfittano dell'apertura dello spazio per lanciarle occhiate lascive in slow motion).

Il colpo di genio di Wilder/Trauner consiste nel ribaltare il rapporto di forze fra il sopra e il sotto. L'inquadratura di Vidor (la prima in alto) produce indubbiamente una sensazione di omologazione e alienazione. Quella di Wilder (che proietta l'occlusiva "geometria del lavoro" sul soffitto) aggiunge profondità (financo una sorta di infinità) e, svelando il soffitto, oltre all'omologazione e all'alienazione, restituisce un senso di oppressione. Il contributo di Weiner consiste, in linea con la modernità dell'ambiente pubblicitario, nel rendere lo spazio, pur nella sua rigidità, fruibile o parzialmente abitabile. Quando la SCDP sostituirà la S&C, il nuovo ufficio, pur sempre derivato dal modello "Vidor", verrà modellato su principi più dinamici e trasparenti, in direzione dell'utopico open space della New Economy nel quale dirigenti e impiegati (in teoria) condividono la geografia del lavoro.

2. Specchi

Apparentemente solo un numero all'interno del meccanismo spersonalizzante del capitalismo corporativo (evoluzione di quello già descritto da Vidor), il protagonista di The Apartment, C.C. Baxter, impiegato in una enorme azienda assicurativa, è in realtà riuscito a ritagliarsi un tassello di identità offrendo la chiave del suo appartamento a alcuni dirigenti in cambio di una promozione (in termini topografici, il trasloco verticale da un piano inferiore a un piano superiore, e quello orizzontale dall'anonimato dell'open space all'alcova identitaria di un ufficio perimetrale).

La mobilità verso l'alto è un concetto fondamentale nel mondo corporativo. Grazie ai suoi intrallazzi, C.C. Baxter non solo si guadagna un ufficio perimetrale (ancora di medio livello, come attestano le pareti trasparenti) ma si trasferisce anche a un piano superiore.
Tale concetto è così profondamente radicato nella cultura corporativa americana che, quando la SCDP traslocherà nei nuovi uffici, per qualche episodio i personaggi ironizzeranno su un fantasmatico "secondo piano" dell'agenzia.

Dapprima Wilder ci offre C.C. Baxter come un uomo senza qualità, un ingranaggio alienato nella grande macchina corporativa, un numero impazzito che snocciola numeri e fatti senza senso, (gli abitanti di New York, gli impiegati della Consolidated Life, ecc., "sintomi", come dice Gerd Gemünden, "di un'accumulazione di dati senza scopo alcuno"), uno zelante "signor nessuno" che spesso rimane in ufficio ben oltre l'orario di lavoro.

Tuttavia, in questo straordinario acchito cinematografico carico di ironia drammatica scopriamo quasi subito come stanno veramente le cose. C.C. Baxter ha un piccolo "problema": a volte non può rientrare nel suo appartamento perché, come ho anticipato, lo presta a alcuni dirigenti dell'azienda, ovviamente, per sessioni extra-matrimoniali.

Questi primi minuti di The Apartment (probabilmente il miglior film di Wilder) rappresentano il modello narrativo sul quale Weiner costruirà il pilot di Mad Men, e definiscono uno dei temi principali del film (e dello show di Weiner): la natura del lavoro come prostituzione.

Non solo all'inizio vediamo uno scambio di denaro fra uno dei "clienti" di Baxter (Kirkeby) e la sua amante Sylvia ma, subito dopo, quando Kirkeby torna nell'appartamento di Baxter perché Sylvia ha dimenticato le galosce, il dialogo con Baxter (che, successivamente, cercherà invano - e non a caso - di guardare Grand Hotel) è più adatto a un albergo a ore che a un appartamento "in prestito". Senza contare che Kirkeby ricorda a Baxter, alludendo al capo del personale Sheldrake (Fred MacMurray), la natura del loro "patto", cioè uno scambio che trascende qualsiasi rapporto strettamente lavorativo fra i due e si avvicina molto pericolosamente (come nel caso del rapporto fra Kirkeby e Sylvia) alla prostituzione.

Sheldrake, l'antagonista di Baxter e suo rivale in amore, è in The Apartment il corrispettivo di Don Draper, e Smoke Gets in Your Eyes è, con le debite differenze, una rappresentazione della giornata-tipo di uno Sheldrake-tipo.

Non c'è niente di peggio della famiglia per Don, e niente di meglio.

Pur in forma diluita (e ribaltata), la stessa struttura e la stessa ironia drammatica dell'acchito di The Apartment permeano il pilot di Mad Men: un uomo torna a casa dopo una giornata di lavoro e diventa improvvisamente un altro uomo.

Immagine speculare di C.C. Baxter, Don Draper è per quarantacinque minuti uno scapolo, un impenitente donnaiolo, un avventuriero, un genio creativo, e solo alla fine scopriamo che è (anche) un marito "suburbano" e il padre di due figli. In The Apartment è il ritorno a casa a rivelarci la vera natura di C.C. Baxter, e lo stesso vale per Don in Mad Men; ma se C.C. Baxter è inizialmente separato, staccato dalla casa (dunque, come nota Cappabianca, dall'identità), perfino rigettato (quando viene tirato giù dal letto nel mezzo della notte da un altro "cliente" che ha rimorchiato una Marylyn-feticcio), Don è — al contrario — incastrato nella casa, vi affonda (e ha bisogno di affondarvi) come nelle sabbie mobili.

Per C.C. Baxter la casa è, come l'identità, irraggiungibile, per Don è un luogo identitario dal quale però è possibile (e talvolta necessario) staccarsi. (Ironicamente, la casa offre a C.C. Baxter e Don due identità opposte e complementari a quelle reali: Don il buon padre di famiglia e Baxter l'impenitente donnaiolo.)


3. Creazione/Corporazione

Analogie a parte, la natura del lavoro di C.C. Baxter e Don Draper è radicalmente diversa: l'uno un assicuratore, l'altro il direttore creativo di un'agenzia pubblicitaria, l'uno un ignorante ingranaggio nella macchina del capitalismo, l'altro un persuasore occulto, l'uno un "lavoratore meccanico", l'altro un intellettuale e un creativo.

The Apartment non si occupa del conflitto fra creativi e corporativi perché, è inutile dirlo, non ci sono creativi in una azienda assicurativa. La creatività nel film di Wilder (e nel mondo corporativo) è relegata al sotterfugio. Il primo dialogo fra Baxter e Sheldrake è proprio un saggio dello spirito con il quale la creatività viene vista dal mondo corporativo (lo stesso spirito che troveremo, per esempio, nel personaggio di Duck Phillips).

"Tell me, Baxter, just what is it that makes you so popular?" chiede Mr. Sheldrake a C.C. Baxter. Al di là del sottotesto più ovvio (Sheldrake sta ricattando Baxter perché vuole entrare nel "giro" della chiave), la "popolarità" di cui parla Sheldrake è la cosa che più si avvicina alla creatività in un ambiente corporativo, come dicevo, il sotterfugio. Inoltre, la parola "popolarità" allude all'emergenza dell'individuo in un collettivo, uno di quei comportamenti "sovversivi" che il mondo corporativo tollerava (e forse ancora tollera) senza troppo entusiasmo (non a caso Sheldrake usa l'analogia delle mele marce nel barile).

In qualche modo, C.C. Baxter e Don (che nei due shot qui sopra e qui sotto si intrattengono, come direbbe Roger Sterling, in mid-level comraderie) sono popolari per la stessa ragione: entrambi sono creativi in un mondo corporativo. C'è una differenza fondamentale però fra le due scene: C.C. Baxter è spesso nella stessa inquadratura con quelli che hanno smesso di essere i suoi capi e sono diventati colleghi. Don, il semidio della pubblicità, è visualmente su un piano molto lontano — irraggiungibile — da quello dei suoi colleghi (dipendenti).

Per fortuna di Baxter, Sheldrake ha bisogno dell'appartamento per un rendez-vous con il personaggio interpretato da Shirley MacLaine, Fran che, per pura coincidenza, è anche l'oggetto del desiderio dello stesso Baxter, e così l'atto "creativo", cioè il sotterfugio, ovvero il "prostituirsi", invece di causargli ulteriori problemi, lancia Baxter verso i piani alti dell'azienda.

(Ciò che C.C. Baxter dovrà imparare è, come gli dice il vicino di casa Dreyfus, diventare un Mensch, la parola yiddish per essere umano nel senso di "nobile persona", una parola, per quel che riguarda la poetica di The Apartment, carica anche di altri significati: indipendenza, emancipazione, dignità, identità. Non ci è dato sapere se il destino di Don sarà lo stesso, ma è indubbio che, per quanto ricco di creatività, Don ha qualche carenza in Menschlichkeit.)

Ken, Paul, Harry indossano praticamente lo stesso abito, mentre Pete — l'unico dei quattro che a questo punto della storia sembra avere un futuro — si distingue leggermente dagli altri.

Ora, a differenza di The Apartment, è evidente che in Mad Men, rispetto alla creatività e alla "popolarità", è all'opera il meccanismo opposto: tutti vogliono o vorrebbero essere "popolari" nello show di Weiner, persino il corporativo Pete che nel pilot corteggia spudoratamente Don. L'individualità è un tratto positivo nel mondo di Mad Men, anche,  per esempio, per Joan che, sempre nel pilot, fa di tutto per convincere Peggy del contrario, cioè a omologarsi, esteticamente e caratterialmente, al resto delle segretarie. (Ciò che dice Joan è in realtà, come vedremo fra poco, una delle innumerevoli menzogne che vengono pronunciate dai personaggi nel corso Smoke Gets in Your Eyes.)


I dirigenti della Lucky Strike vendono il cancro e sono giustamente vestiti di nero come a un funerale.
Don (creativo), Roger (ibrido) e Pete (corporativo).

Il generico conflitto fra "creativi e corporativi" è descritto durante la presentazione di Don per la nuova campagna Lucky Strike e lo stesso conflitto, però interno, che dominerà la terza e quarta stagione è vagamente suggerito nel corso della stessa scena.

L'elemento visuale più importante della scena della presentazione è la disposizione dei personaggi: Don, Roger e Pete da un lato del tavolo, i proprietari della Lucky Strike — i due Lee Garner insieme a due becchini — dall'altro.

Ciò che impareremo negli episodi seguenti è che le presentazioni avvengono in due tempi: prima i clienti vengono intrattenuti con conversazioni più o meno generiche (in questo caso, che è il motivo per cui Lucky Strike ha bisogno di una nuova campagna, la conferma scientifica che il fumo fa male), poi gli stessi clienti si trasformano in spettatori e assistono alla vera e propria presentazione. Il problema è che Don non ha partorito nulla per Lucky Strike e, quando arriva il suo turno di parlare, non ha la minima idea di cosa dire.

E' a questo punto che la conversazione si rivela per quello che è: un colloquio di lavoro, un interrogatorio, anzi un'interrogazione, un esame per il quale Don non è assolutamente preparato (infatti nicchia come uno studente che non ha aperto libro. E non a caso: "I don't wanna go to school tomorrow", ha detto alla sua amante Midget in una scena precedente).

Pensando di evitare il disastro, Pete interviene utilizzando i dati della psicologa (dati che Don ha in precedenza cestinato e di cui parlerò fra breve) ma il risultato è insoddisfacente, e i dirigenti di Lucky Strike si alzano per andarsene.

L'intuizione di Don, non solo gli permette di sfruttare il vantaggio di una corsa alla pari con le altre corporazioni del tabacco (che dipenderà dall'abilità dei singoli pubblicitari), ma identifica anche l'elemento strategico più importante nella pubblicità contemporanea, cioè che è molto più efficace vendere l'identità di un prodotto piuttosto che le sue intrinseche qualità.

Tuttavia, in un atto di rapsodica creatività ("from thin air", come dirà più avanti), Don intuisce che la scoperta della tossicità delle sigarette in realtà non è affatto uno svantaggio dal punto di vista pubblicitario e, salendo in cattedra (ribaltando il rapporto di inferiorità nel quale era precipitato), pronuncia la famosa battuta: "this is the greatest advertising opportunity since the invention of cereals". Creativi 1, Corporativi 0.


4. Persuasione/Dissuasione

Come sapete se avete letto The Hidden Persuaders di Vance Packard, utilizzare consulenti scientifici (psicologi) per facilitare il cosiddetto "deep approach" a una campagna pubblicitaria è una pratica che si sviluppa verso metà degli anni '40, dunque già ben rodata all'epoca rappresentata nello show di Weiner. Tuttavia, come illustra anche il libro di Packard, le campagne pubblicitarie possono essere fallimentari nonostante siano sostenute da corrette analisi psicologiche

Ernest Dichter è considerato, insieme al pioniere delle pubbliche relazioni e nipote di Freud Edward Bernays, uno dei primi "persuasori occulti".

In Smoke Gets in Your Eyes, Don a un certo punto incontra una certa dottoressa Greta Guttman, un personaggio che, dati il nome e l'accento, è senza dubbio un avatara di Ernest Dichter, lo psicologo austriaco pioniere delle ricerche motivazionali e dell'applicazione della psicanalisi freudiana alla pubblicità. L'analisi della dottoressa Guttman del desiderio profondo dei fumatori, ovvero della pulsione di morte insita nell'atto del fumare (così come nel desiderio sessuale e nella castità) è tutto fuorché scorretta. Tuttavia, come intuisce Don, in pubblicità è assolutamente inutile avvalersi della funzione, anche profonda, di un prodotto perché la funzione della pubblicità non è convincere né manipolare ma disinibire il consumatore in maniera tale che compri. Il vero Dr. Dichter non sarebbe mai caduto in un simile errore.

Don è uno straordinario seduttore perché sa, a differenza di Greta Guttman, che svelare o fare leva sul desiderio profondo di qualcosa, invece di persuaderci a rincorrere quel desiderio, può inibirci. Don, e in seguito Peggy (e Ginsberg), sono gli unici alla S&C (e poi alla SCDP) a stare in bilico sul sottilissimo confine fra persuasione e dissuasione, disinibizione e inibizione, e la scena che ho analizzato nel capitolo precedente è un esempio lampante di quella differenza: Pete spinge i Garner a alzarsi e andarsene (dissuasione), Don li spinge a sedersi di nuovo (persuasione): nel vendere pubblicità, essere i migliori pubblicitari di se stessi è un superpotere che può tornare davvero utile.


5. It's toasted

Infatti, è chiaro che Don sta vendendo ai Garner qualcosa di leggermente diverso da una nuova campagna per la Lucky Strike: sta vendendo prima di tutto la persona che è in grado di farla. Roger (che proviene dalla generazione che ha effettivamente rivoluzionato la pubblicità) se ne accorge subito mentre Lee Garner Sr. ha bisogno solo di un piccolo aiuto (lo sciocco e distratto Lee Garner Jr. non sono convinto che abbia compreso neanche alla fine).

Nel fare il suo punto, Don dimostra anche l'inefficienza della prolissa pubblicità pre anni '50-'60, adatta in parte alla vendita del prodotto ma inadatta alla vendita di se stessa in quanto pubblicità. Lo stesso cartellone a sinistra con il solo slogan "It's toasted" avrebbe in effetti un impatto visivo e simbolico assai superiore.

"It's toasted", l'idea che butta lì Don, non è un'idea originale di Weiner via Don Draper ma uno storico slogan della Lucky Strike che risale al 1917, un anacronismo che illustra ciò che Don cercava di spiegare alla dottoressa Guttman: il desiderio non ha bisogno di spiegazioni o giustificazioni e, per quanto la pubblicità ritenga inevitabilmente aspetti competitivi (e dunque discorsivi), è l'universo simbolico dei nostri bisogni (inibizioni/disinibizioni) a far detonare il desiderio di possedere, ovvero comprare un determinato oggetto.

L'idea ret-con di Don è un perfetto esempio di ciò che sto dicendo. Infatti, "It's toasted" è uno slogan che, al di là di tutto, placa l'evidente panico di Lee Garner Sr., che assicura al patriarca della Lucky Strike che, nonostante le scioccanti rivelazioni del Reader's Digest sulla tossicità del fumo, tutto andrà bene. In sostanza, Don sta vendendo a Lee Garner Sr. sicurezza emotiva ("freedom from fear"), un nuovo inizio ("the smell of a new car") e la gratificazione dell'ego ("a billboard on the side of the road that screams with reassurance that whatever you're doing, it's okay. You are okay.").


6. Smoke Gets in your Eyes

Smoke Gets in Your Eyes è un titolo perfetto. Allude a uno dei protagonisti dello show, le sigarette, al fumo-negli-occhi della pubblicità e a quello che i personaggi gettano gli uni negli occhi degli altri. Più di ogni cosa però, allude al fumo che Weiner getta nei nostri occhi.

La menzogna più graziosa dell'episodio la pronuncia Salvatore che, apparentemente, ha una cotta per il vicino di casa (il quale ha posato per il suo disegno per Lucky Strike). Quando Don gli chiede di rifare il disegno con una ragazza al posto dell'uomo e di usare una modella in carne e ossa, Salvatore esclama con enfasi: God, I love my work!

Il pilot di Mad Men è una enorme menzogna alla quale ciascuno (ivi compreso il "creatore") fornisce il suo piccolo contributo. Don mente, in un modo o nell'altro, a tutti; Joan mente a Peggy; Roger a Don; Peggy a Joan, a Don e al ginecologo; Pete a Don, a Peggy e a Trudy; e, chiaramente, ciascuno dei personaggi mente anche a se stesso.

Anche se Weiner ha sempre affermato di non aver programmato le stagioni successive, c'è una coerenza narrativa impressionante fra le bugie dei personaggi e i successivi disvelamenti: nel mondo della pubblicità nulla è ciò che sembra e nell'universo di Mad Men vale la stessa regola.


7. Identità/Riconoscimento

Ciò che vediamo già all'opera sono, in sostanza, i due temi principali dello show: il problema dell'identità e quello del riconoscimento (temi che affrontano anche The Apartment e un parte della cinematografia degli anni '60 cui Weiner si riferisce visivamente e narrativamente).

"Chi è Don Draper?" è la domanda che apre la quarta stagione dello show ma è anche la domanda che ha aleggiato su ogni singolo episodio nelle tre precedenti stagioni.

Mad Men è un viaggio verso l'identità del suo protagonista il quale, nel corso dei primi due episodi (e ancora successivamente), mostra un numero così impressionante di contraddizioni (riconducibili a una spirale creativa-ascendente e a una spirale discendente-autodistruttiva) che è difficile, anche se in fondo ci troviamo sulla stessa barca, immedesimarci. Più avanti, nel corso della prima stagione, scopriremo che Don Draper è in realtà Dick Whitman, figlio di una prostituta e vigliacco di guerra. Paradossalmente, la rivelazione è quasi confortante perché in qualche modo spiega o giustifica l'ornitorinco emotivo, logico e comportamentale che è Don, la cui "doppiezza" un bell'articolo su The ## fa risalire lacanianamente allo stadio dello specchio.

Il gioco fra identità e riconoscimento è attraversato da complesse relazioni mutuate dal modello familiare. Pete vede in Don una figura paterna e, forse un po' troppo affrettatamente, verso la fine della stagione, cercherà di compiere un insensato parricidio.

La cosa interessante qui non è solo il conflitto fra l'Io e l'Io-Ideale di Don (la reale, frammentata identità di Dick Whitman e quell'immagine proveniente dallo specchio che è l'intero-ideale che è Don Draper), ma è l'estensione dello stadio dello specchio alla socialità adulta che Mad Men mette in opera: in una società che vive costantemente in uno stato di emergenza narcisistica, tutti si specchiano negli altri, anzi, per essere precisi, nell'irriconoscente specchio che sono gli altri. Così, in un gioco di doppi che di stagione in stagione si fa sempre più complesso, non c'è personaggio che prima o poi non faccia esperienza della frustrazione che deriva dall'impotenza del proprio corpo nel mimare l'immagine ideale che proviene dallo specchio, chiunque esso sia o chiunque dica di essere.


8. Pull Out/Push In

Mad Men non sembra fin dall'inizio cosciente della sua "attitudine lacaniana", dunque è probabile che sia un caso che, nella prima scena dello show, Don dia le spalle a uno specchio. Ciò che non è assolutamente un caso ma una chiara scelta estetica è il dolly iniziale che si (e ci) avvicina all'iconica immagine di Don visto di spalle.

Push in.

In questo caso non ho molto da aggiungere all'eccellente video-saggio di Jefferson Robbins che analizza lo stile cinematografico di Phil Abrahams (il direttore della fotografia dello show durante la prima stagione) e quello di Cristopher Manley (che prende il posto di Abrahams nella seconda stagione).

Ciò che posso dire, ciò che tutti possiamo dire, è che questo gioco elastico con l'immagine (e forse l'anima) di Don Draper non ci ha svelato ancora nulla. Molto invero sappiamo ma, come accade alla fine della quarta stagione, ciò che sappiamo è in realtà solo una delle innumerevoli facce di un uomo che sembra avere un'inesauribile riserva di identità.

Probabilmente ciò che Don veramente è, è una provenienza che, nella realistica finzione di Mad Men, proviene verso di noi. Forse non cogliamo Don perché in fondo è molto simile a ciò che, collettivamente, siamo anche noi, un Mensch senza Menschlichkeit, una pubblicità del XX° secolo che ci vende un prodotto del XXI° secolo.


9. Bibliografia essenziale

Molti libri sono stati scritti su Billy Wilder. Per cominciare, consiglio l'ottimo castorino di Alessandro Cappabianca e il fondamentale libro di Gerd Gemünden, A Foreign Affair. Per chi vuole approfondire, On Sunset Boulevard: The Life and Times of Billy Wilder di Ed Sikov è un libro al contempo critico e biografico, una delle migliori se non la migliore biografia di Wilder. E' essenziale, naturalmente, l'intervista in tre parti a Wilder del 1992 condotta da Volker Schlondorff (Billy Wilder, wie haben Sie's gemacht?), il corrispettivo "wilderiano" delle interviste radiofoniche di Truffaut a Hitchcock.

I libri su Mad Men non sono entusiasmanti. Il saggio di Butler che ho citato all'inizio è contenuto in Mad Men, a cura di Gary R. Edgerton (ma è disponibile anche online in una versione ridotta qui). Mad Men and Philosophy, a cura di Rod Carveth e James B. South è talvolta più un bigino di filosofia che un'opera sullo show di Weiner. Non posso dire che mi sia piaciuto. Analazyng Mad Men di Scott F. Stoddart è un libro che non contiene nulla che non si sia letto nelle recensioni dei critici più noti, mentre Mad Men Unbottoned di Natasha Vargas-Cooper (il migliore del gruppo) è un libro bello, brillante e interessante ma sostanzialmente derivato dal blog di Vargas-Cooper che trovate qui.

Più sostanziose sono le fonti online. Le uniche recensioni che definirei imperdibili sono quelle di Molly Lambert (quelle delle stagioni passate le trovate qui, quelle della prossima, suppongo, le troverete qui). A dire il vero, probabilmente ritengo fondamentali anche le recensioni di Matt Zoller Seitz (usate Google), che adesso scrive qui.

L'articolo di The ## che ho citato lo trovate qui, mentre altri accenni al Draper lacaniano li trovate qui e qui.

E' inutile sostituire Google e riportare i link a tutte le varie interviste a Weiner & Co. Ne cito solo due perché connesse con il discorso dello stile cinematografico dello show: questa intervista a Weiner e questa interessantissima a Cristopher Manley.

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