mercoledì 25 giugno 2014

I QUATTRO ARTICOLI CHE HO SCRITTO, CHE AVREI SCRITTO, CHE HO PROCRASTINATO, CHE HO SCRITTO TROPPO A LUNGO ECC., IN SINTESI

1) Sulla bellezza di Louie

Louis C.K. è il più grande ironista vivente e l'ultima stagione di Louie è una rivoluzione magnifica della commedia. Se qualcuno facesse lo sforzo di analizzare Louie come Mad Men, si troverebbe a costruire una mappa di minuziosi disfacimenti e geniali reinvenzioni, corsi e ricorsi narrativi. Louie è un un dramma, un horror, un thriller, un film apocalittico, un film muto. Su Slate, Willa Paskin ha scritto che non c'è nulla di originale in questa stagione di Louie e in un certo senso, diverso da quello che intende Paskin, può essere vero: non c'è nulla di originale nella vita o nell'umanità, l'originalità sta nel saperle raccontare. Louie è poesia lirica visuale, è un gesto di autoerotismo e al contempo la sua destrutturazione. E' un saggio di autopercezione, ci mostra come funziona la mente e perché funziona anche quando funziona male o non funziona. E chi pensa che Louis C.K. sia talvolta troppo didascalico, forse dimentica che l'invenzione dell'umanità è una lezione che non si smette mai d'imparare.

2) Gruppo di sostegno per il cattivo gusto

Qualcuno ha giustamente scritto che Halt and Catch Fire è un tentativo di retroingenieria di Mad Men. In effetti, Joe e Gordon sono due personaggi al prezzo di uno (Don Draper); e Cameron, Donna e Bosworth sono semplificazioni di Peggy, Joan e Roger. Okay, Halt and Catch Fire è un prodotto mediocre e derivativo. Tuttavia è fantastico, non puoi smettere di guardarlo, è ipnotico. La mia spiegazione del fenomeno è la seguente: HaCF è esattamente un tipico prodotto dell'epoca che racconta, gli anni '80. Prendete quella perla ambientata nello stesso periodo storico che è The Americans di FX: anche se abbraccia i temi e l'estetica degli anni '80, The Americans è un perfetto dramma degli anni '10. E' una rivisitazione, un saggio di storia, un'esplorazione delle conseguenze di quel periodo storico attraverso il riposiziamento degli effetti a lungo termine accanto alle cause che li hanno originati. Come Mad Men, The Americans parla di ciò che ci riguarda e lo fa letteralmente: è un secondo sguardo che proviene dal passato e aiuta a capirci, a comprendere le nostre origini, perché siamo come siamo e dove siamo. Diversamente da The Americans e da qualsiasi altro "dramma televisivo storico", Halt and Catch Fire non abbraccia solo l'estetica del periodo, nel senso in cui usiamo questa espressione quando intendiamo dire che un'opera ricostruisce un determinato periodo storico rendendolo riconoscibile, plausibile, verosimile, ma abbraccia l'estetica degli anni '80, o una certa estetica di quegli anni, nel senso più ampio del termine, cioè come progetto estetico. In questo senso, potremmo dire che HaCF è un blockbuster di serie B o un finto-blockbuster di quegli anni: leggero, superficiale, patinato, incessantemente sopra le righe e sexy. Se fosse ancora più Top Gun o più 9 Settimane e 1/2 sarebbe il guilty pleasure definitivo: l'unica cosa che gli manca, infatti, è il coraggio di affondare il colpo e abbracciare completamente il buon cattivo gusto degli anni '80.

3) La pena capitale dell'Italia

Virzì è l'unico regista italiano a capire gli italiani; non quello che gli italiani vogliono, cioè la rappresentazione eroica della loro dissolutezza, ma quello che gli italiani sono, cioè la dissoluzione luccicante di un popolo che non ha mai cominciato a esistere. Il finale del Capitale Umano è forse un po' ecumenico e retorico, ma nello scambio di battute fra i personaggi dell'eccezionale Fabrizio Gifuni e di Valeria Bruni Tedeschi vibra una grande verità: l'Italia non esiste perché, prima, non esistono gli italiani. "Avete scommesso sull'inesistenza di questo paese," avrebbe dovuto essere la frase pronunciata dalla vapida Carla Bernaschi, "e avete vinto". Il Capitale Umano non ci racconta quando l'Italia è diventata un future sul nulla, un derivato del non essere, ma ci mostra il gioioso disfattismo di due generazioni, suggerendo, a seconda del grado di ottimismo con cui l'avete guardato, che il massimo della speranza sia da riporre in adolescenti problematici intrisi di romanticismo alla maniera di Twilight. Per noi "genti del nord", il Capitale Umano è uno specchio-calvario, un riflesso del nostro nichilismo tatuato nell'occhio; e la cosa più dura del film è forse il fatto che non si salva nessuno, e dunque tutti si salvano. Oh, questo lo devo dire: se Virzì ne avesse fatto una miniserie di dieci episodi, urleremmo al capolavoro.

4) La palude degli articoli sulla letteratura italiana

Lasciamo perdere tutto, in particolare il fatto che Cordelli in un suo bell'articolo di un mese fa sia convinto che in Italia ci siano almeno settanta scrittori (se solo avesse detto scrivani). L'unica cosa che mi interessa è la citazione da un romanzo di Giorgio Falco: "L’aria arriva dal basso, noi siamo a disagio nel restare fermi, disabituati a quell’ariosità gratuita, così andiamo verso uno dei cannocchiali che, come molte altre cose, per avere senso ha bisogno dell’energia di una moneta". Prendiamo un passo da Furore di John Steinbeck (courtesy of @martinamontague): "Seduti sugli sgabelli, davanti alla tazza con il cucchiano dentro. Chiacchierando con Mae. Mentre Al ascolta senza fare commenti, continuando a sfregare la sua piastra. La voce di Bing Crosby s'interrompe. Il giradischi si abbassa e il disco torna al suo posto nel mucchio. La luce viola si spegne. Il nichelino, quello che ha messo in marcia l'intero sistema, quello che ha convinto Bing Crosby a cantare e un'intera orchestra a suonare, scivola tra i due punti di contatto e cade nella scatola dove finiscono gli incassi. Quel nichelino, diversamente da gran parte dei suoi simili monetari, ha definitivamente portato a termine un lavoro, è stato fisicamente responsabile di una reazione". Il concetto dei due passi è lo stesso e, volendo, il contesto, chiamiamola così, di serpeggiante violenza economica è affine a entrambi i romanzi, solo che la frase di Falco oltre a non dirci nulla cerca anche di spiegarci il nulla che non cerca di dirci; invece il passo di Steinbeck mette in moto l'energia della moneta, ce la fa sentire, alludendo fra l'altro, come altre volte in Furore, a quello che qui chiama "l'intero sistema", al meccanismo che schiaccia i protagonisti offrendo loro, al contempo, il miraggio del New Deal, o di Bing Crosby. Quando non puoi fare il reversing di un romanzo, difficilmente c'è qualsiasi romanzo. Ora, certo, direte, non puoi paragonare Falco a Steinbeck. No, certo, ma in che senso? Voglio dire, non posso paragonare uno scrittore mediocre a un grande scrittore? O non posso paragonare un non-scrittore a un vero scrittore? Se scommettere sull'inesistenza della letteratura italiana (a parte Moresco e pochissimi) fosse remunerante come scommettere sull'inesistenza dell'Italia vi consiglierei di farlo subito. Spesso indistinguibili, letteratura e critica italiane sono un centipede umano che si nutre delle sue stesse lusinghe. L'invenzione dell'uomo è impossibile.

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