lunedì 12 dicembre 2016

TV: 2016

Post-verità è la parola dell'anno ma, a onor del vero, viviamo in uno stato di post-verità da quando esiste la televisione. Da quando esiste Internet viviamo invece in uno stato di pre-verità. Infatti "post-verità" è un tipico esempio di pre-verità, cioè di una parola che precede di un paio di chilometri la verità, che poi sarebbe "valanga di cazzate".

Meglio di post-verità sarebbe stata la parola eufemismo, non nel suo significato letterale ma nel significato pre-vero con cui la usa Trump cioè "menzogna per nascondere la verità". Esempi di eufemismi del 2016 potrebbero essere "alt-right" e "cambiamento climatico" che, per pura coincidenza, sembrano anche eufemismi nel senso letterale e stanno per "nazismo" e "fine dell'umanità".



Il problema è che se puoi vincere le elezioni nel paese teoricamente più democratico del mondo con la mosssa pre-vera di dichiararlo un attimo prima del tuo avversario come fece George W. Bush, a quel punto è chiaro che il divorzio con i fatti è completo e Trump, così come tutto il resto sono solo una conseguenza della più grande illusione del secolo: che noi, che chiunque sarebbe in grado di controllare la nostra narrativa, per non dire quella del resto del mondo.

La televisione con i suoi risultati alterni avrebbe dovuto insegnarci meglio. Nell'epoca della post-verità guardavamo qualsiasi cosa indipendentemente dalla qualità e dalle promesse per poi pentircene il giorno dopo—il "pentircéne" era anche un'era geologica. Il ciclo prova-errori era ancora, in qualche modo, operativo. Piccole agnizioni avvenivano tutti i giorni. Invece nell'era della pre-verità tutto è già deciso in qualche subreddit o nel comunicato stampa del tale network, che poi sono eufemismi per "ottavo cerchio dell'inferno" e "critica televisiva". La verità è stata sostituita dall'eccitazione e l'esperienza dall'impazienza...

Sia come sia—e questa, purtroppo, è solo una verità—lo ha detto John Oliver in chiusura dell'imperdibile Last Week Tonight: il 2016 è "the fucking worst year", anche per la televisione che, forse, ha appena smesso di esistere.


Netflix (Netflix)

Ricordate quando usavamo la parola "televisione" per dire Netflix? In un mondo pre-vero l'unica cosa reale sono le abitudini, cioè i click. E se noi siamo quello che clicchiamo, principalmente pornografia, subito dopo, almeno dalle sette a mezzanotte quando stiamo fissi lì su Netflix, siamo... non c'è ancora una parola...

Netflix ci conosce meglio di noi stessi, sa quello che vogliamo prima ancora che lo sappiamo noi, è la nostra pre-verità di spettatori, così raffinata che puoi avere l'impressione che quel particolare show sia stato prodotto appositamente per te. Per esempio Stranger Things, l'operazione di marketing più raffinata dell'anno ma anche uno show di livello così alto che fa impallidire Westworld e HBO. Qualcuno lo ha scambiato per un'operazione nostalgica ma in realtà è haute couture, sartoria sublime, un costume così perfetto che può essere indossato da un'intera generazione (o target se preferite). Lo stesso vale per gli altri show di Netflix nel 2016: Orange is the New Black, sempre eccellente, BoJack Horseman, House of CardsUnbreakable Kimmy Schmidt, Daredevil e Luke Cage, NarcosThe Get DownCrazyheadThe Crown (uno show da leccare più che guardare) e la miglior comedy del network: Lovesick/Scrotal Recall. Ciascuno di questi show è, probabilmente, il risultato di un algoritmo che calcola il rapporto ottimale tra profondità della storia, qualità della produzione e aspettative degli spettatori cui il prodotto è destinato. Infatti, non importa se vi piacciono o no Daredevil o BoJack Horseman et al., nessuno di questi show ha qualità intrinseche o va giudicato in base a qualche valore assoluto: ogni show di Netflix è un mondo e noi vi siamo inclusi o esclusi. L'ambizione di Netflix è produrre contenuti post-critrici (pre-critici?) e, quando ci riuscirà, articoli come questo non avranno più senso.

Un giorno Netflix sarà un'intelligenza artificiale in grado di produrre contenuti audiovisivi personalizzati just in time, per ora è un macchina per l'accumulazione primaria dell'intrattenimento che avrà finito il suo imponente lavoro quando potrà sfornare uno show alla settimana (e film, documentari, reality, recital e anime...). A quel punto, una volta innalzato un muro seriale invalicabile, sarà impossibile tornare a quella che chiamavamo TV.


Trapped/Ófærð + The Missing (RÚV/BBC + BBC/Starz)

Uno dei migliori show dell'anno, Trapped, è islandese e parla di un omicidio in una piccola città. Okay, è una variazione su un tema straclassico ma questo tipo di sonata funziona quasi sempre, in questo caso senza una caduta di tono. Ólafur Darri Ólafsson—la star dello show che compare anche nella seconda stagione di The Missing—è un grande Buddha spugnoso che assorbe la tensione della storia finché la tensione non diventa insopportabile e i pezzi del presente, finalmente, si uniscono a quelli del passato. Più che uno show televisivo, Trapped è una boule à neige all'interno della quale l'inverno potrebbe durare per sempre.

A differenza di Trapped, gli scopi di The Missing sono molto più vasti, con una storia che viaggia dalla Germania all'Iraq alla Svizzera e che—come nella prima stagione—gioca abilmente con il tempo. Come in Trapped il passato è congelato, e si scioglie solo sotto al fuoco lento dell'investigazione del protagonista, Julien Baptiste (Tchéky Karyo), l'unico personaggio che sembra riconoscere la linearità del tempo mentre tutti gli altri sono imprigionati in un loop di ansia, lutto e paranoia. Keeley Hawes sostituisce James Nesbitt come centro emotivo e—l'aveva già fatto in Line of Duty—tiene in piedi la storia quando, saltuariamente, perde trazione o si attarda lungo linee narrative fragili.


Rectify (Sundance)

Ogni nuova stagione di Rectify (questa è l'ultima) sembra superflua ma poi quando ti ci trovi in mezzo vorresti che questa storia rarefatta non finisse mai. Tuttavia, questa volta, è difficile togliersi di dosso la sensazione che risolvere quasi tutte le linee narrative fosse un po' superfluo. O forse no, forse l'ottimismo e la speranza incompiuti alla fine dello show sono l'unica aspirazione realistica per una "happy unending".


Search Party (TBS)

Se Twin Peaks fosse stato scritto, filmato e interpretato da millenial si chiamerebbe Search Party e incomincerebbe come una farsa, in mezzo sarebbe un dramma, alla fine una tragedia. In qualche modo Search Party è un'ode al narcisismo digitale, al distacco dalla realtà, all'incapacità di elaborare l'esperienza, e a una delle malattie del secolo che potremmo chiamare sindrome da stress pre-traumatico. I personaggi sono incastrati in fantasie personali che si corrodono non appena si sfiorano. Ne emerge un'anima vapida circondata da identità artificiali, costruite piuttosto che vissute. Insomma, potremmo essere noi.


Horace and Pete (louisck.com)

Indifferente a tutto ciò che è televisivo o post-televisivo, impossibilmente lento, elaborato, teatrale, deliberatamente violento, perfino sadico, Horace and Pete è un capolavoro. Louis C.K. scoperchia l'America e ne disseziona il romanticismo con totale disincanto. La malattia dei personaggi non è l'alcolismo ma l'ebbrezza nostalgica per un'America della quale Louis C.K. ci dà un assaggio nell'ultimo episodio. E' un frammento anti-hollywoodiano, anti-televisivo, sovversivo che non solo riflette e in qualche modo spiega tutto ciò che accade nello show ma anche riflette e spiega ciò che sta accadendo negli Stati Uniti. Louis C.K. porta la parola a livelli straordinari; e anche se la tenuta dei dialoghi non è sempre ottimale, le ondulazioni del linguaggio, che esplode nelle imprecazioni o nei monologhi dei vari personaggi, sono all'altezza del miglior David Milch o Matthew Weiner. Non solo, Horace and Pete, dopo di un paio di episodi di riscaldamento, offre le migliori interpretazioni dell'anno, su tutti Edie Falco e Alan Alda.


O.J.: Made in America + ACS: The People vs. O.J. Simpson (ABC/ESPN + FX)

La drammatizzazione del processo a O.J. Simpson in American Crime Story: The People vs. O.J. Simpson è sembrata per qualche mese un'opera straordinaria, finché non è andato in onda O.J.: Made in America.

Sono due modi completamente diversi di fare televisione: da un lato ACS, che è la spettacolarizzazione di un evento storico condita da grandi attori (in particolare John Travolta) e sostenuta dalla celebrità, nel bene e nel male, di O.J. Simpson. D'altro lato Made in America: una precisa riflessione sulla celebrità e sulla spettacolarizzazione degli eventi storici. Direte, ovvio uno è fiction l'altro un doc, ma la cosa interessante è che The People vs. O.J. Simpson funziona come un documentario mentre Made in America funziona come una fiction. Non è un paradosso ma una convergenza tematica che mostra la malleabilità degli eventi e la tendenza di questi, attraverso vari ridimensionamenti, a prendere diverse forme vere (o pre-vere?) senza che una neghi l'altra.

Qui la parola chiave è "ridimensionamento", che è esattamente ciò che accade a The People vs. O.J. Simpson dopo Made in America: il primo si rimpicciolisce di fronte alla profondità e all'acume del secondo ma non scompare. Non solo, Made in America illumina The People vs. O.J. Simpson esaltando tutto ciò che nell'ultimo funziona alla perfezione: la passione di Marcia Clark/Sarah Paulson e l'ossessione per la celebrità di Robert Shapiro/John Travolta. Viceversa, le lacune di The People vs. O.J. Simpson esaltano la precisa narrativa di Made in America incardinata sulla storia parallela di una celebrità afroamericana e di milioni di anonimi devoti, neri e bianchi. Queste due storie a un certo punto si intersecano e Made in America tocca il culmine surreale del sogno americano: che l'ingiustizia sia uguale per tutti.


IL RESTO

Tra vecchie glorie che si reggono a malapena in piedi e il parterre di matricole più imbarazzante degli ultimi vent'anni, cosa guardare? 12 Monkeys è ancora il miglior show che nessuno guarda mentre Lemonade e HyperNormalisation sono i più grandi singoli eventi televisivi dell'anno. The Fall (concluso) in versione procedurale è sempre interessante ma un po' come un cacciatore senza la caccia. The Americans è affidabile come una Volvo, ultimamente un po' troppo tiepido per una spy story della Guerra Fredda. Fleabag avrebbe potuto trovarsi nella sezione superiore di questa lista se la seconda parte della stagione fosse stata all'altezza della prima (eccezionale). La realtà è più farsesca di Veep: non è per demeriti propri ma lo show sembra improvvisamente un po' anacronistico. You're the WorstTransparent, Person of Interest!Halt and Catch Fire, The Goldbergs, American CrimeBroad City, Black-ish e Crazy ex-Girlfriend restano in piedi dopo un terremoto creativo che ha ridimensionato o abbattuto Mr. Robot, Unreal, Togetherness (cancellato), Catastrophe, The Good WifeCasual e il pessimo Masters of Sex (cancellato), tutti show che l'anno scorso gravitavano intorno all'eccellenza o almeno, in qualche modo, funzionavano. Per quel che riguarda i due grandi franchising della TV americana, Shondaland e Berlantiland, sono così estesi e ripetitivi che è difficile distinguere esattamente quale show uno stia guardando. Si salvano solo Flash, che si è ripreso dopo una stagione piuttosto problematica al servizio di vari spinoff e dell'universo televisivo DC; e, naturalmente, Viola Davis che, da sola, regge l'assurdità di HTGAWM. The Blacklist, per impostare lo spinoff con il personaggio di Tom Keen, ha avuto problemi simili a quelli di Flash e ha perso un po' di ritmo e brillantezza. Tra le novità, Speechless e The Good Place sono comedy promettenti che funzionano principalmente grazie al carisma degli  attori (Minnie Driver e Cedric Yarbrough da un lato, Ted Danson e Kristen Bell dall'altro); mentre Designated Survivor è un 24 con Jack Bauer sotto sedativi e, per ora, ha un certo appeal. Altrove, c'è un gomitolo di show con caratteristiche simili e che potremmo definire di genere "indie", anche se "indie" non è esattamente un genere. Questi show, Love, Atlanta, Insecure, The Girlfriend Experience, sono accomunati da ambizioni autoriali e risultati incostanti. In particolare, The Girlfriend Experience non solo è largamente inferiore al problematico film di Soderbergh cui lo show è ispirato ma mescola senza successo svariati generi in una cornice estetica stucchevole. Tra i quattro il migliore è Atlanta, anche se non riesce mai a scrollarsi di dosso l'aria di idiosincrasia e il sospetto che sia stato creato (come gli altri) principalmente per un pubblico di critici televisivi. Di Westworld ho parlato qui mentre, per restare in ambito HBO, non ho lamentele per la direzione che ha preso Game of Thrones, al solito un mix di spettacolo, noia, grande televisione, poppe, esposizione, violenza, buchi narrativi ecc. Better Call Saul non è migliorato; High Manteinance funzionava meglio come webserie. BoschRed Oaks, Mozart in the Jungle ecc. e persino Crisis in Six Scenes di Woody Allen sono insipidi come l'idea di contenuto televisivo di Amazon (Transparent e Mozart in the Jungle sono le eccezioni). I due grandi revival dell'anno, la decima stagione di X-Files e Gilmore Girls: A Year in the Life, sono impresentabili. Le due mini-serie con Hugh Laurie, The Night Manager e Chance, sono mediocri: la prima è meglio della seconda, se non altro perché è una rielaborazione (più che adattamento) di un romanzo di Le Carré e perché c'è Tom Hiddlestone. La più grande delusione dell'anno è probabilmente BrainDead, uno show che ha qualcosa, che poteva, che avrebbe potuto, ma non riesce mai a ingranare la farsa o qualsiasi cosa intenda fare. Lo stesso si potrebbe dire di Vice Principals e Better Things (l'ultimo ha lampi di genio ma nella penombra, e solo nell'episodio finale trova il suo perché). The Walking Dead non galleggia neppure più, Fear the Walking Dead è uno dei peggiori spinoff della storia della TV, per intenderci, a livello di Joey. Al contrario Planet Earth II risplende e, talvolta, uno immagina che, in un futuro non molto lontano, saranno queste le immagini proiettate nel macello di Soylent Green. La terza stagione di Black Mirror non ha un singolo episodio all'altezza delle prime due. Marcella è un thriller discreto; Happy Valley (S02) è okay. Line of Duty (S03) ha troppi buchi narrativi.

4 commenti:

Unknown ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Unknown ha detto...

Gran bel pezzo, complimenti.
Per quanto ho visto io, delle serie qui elencate, sono quasi totalmente d'accordo.
Di "This Is Us" cosa pensi, invece?
Forse l'unica novità davvero meritevole dell'autunno seriale, per quanto mi riguarda - episodi scritti e interpretati davvero bene, puntualmente screditati dal solito twist di troppo, uno dei pochi difetti.

Jacob Kogan ha detto...

Eh, This is Us... onestamente non lo so e questa è la ragione per cui l'ho omesso. Quando lo guardo ho l'impressione di essere manipolato, eppure lo guardo. Aspetto di capire esattamente se c'è o ci fa.

Kayters ha detto...

Il passaggio di Matthew Weiner ad Amazon indica che molto probabilmente anche i grandi showrunners sono ora molto più attratti dal modello Netflix, rispetto ai networks tradizionali.

Louis CK ha parlato tantissimo quest'anno del processo creativo dietro Horace and Pete, fatto con una libertà che al momento nessuna piattaforma possiede.

Netflix avrebbe effettivamente le possibilità economiche (e il nome) per creare serie televisive e metterle disponibili al pubblico senza dover far sapere in anticipo che le stanno producendo (anche se loro sono soliti rilasciare intere stagioni in un solo giorno). Mi chiedo se in futuro vedremo loro fare questo.

Produrre una serie come ha fatto Louis CK richiede una disponibilità economica non indifferente. So che H&P ha fatto molto bene nel complesso, riguadagnando i soldi investiti e facendo anche un profitto, ma CK è al momento molto popolare, quindi sarebbe molto più difficile per qualcuno che non ha la stessa fama.

Louis fa notare molto bene come qualsiasi serie prodotta attraverso metodi tradizionali, deve sottostare a determinati limiti, quindi sarebbe interessante vedere questo nuovo tipo di produzione prendere piede.

A tal proposito, alcune interviste a Louis CK sono, secondo me, tra le cose migliori del 2016. Come questa fatta da Charlie Rose (https://charlierose.com/videos/27296) o Marc Maron (http://www.wtfpod.com/podcast/episode-700-pt-1-2-julia-louis-dreyfus-louis-ck).

Ho avuto inoltre la fortuna di vederlo dal vivo questa estate a Londra. Il suo nuovo set è spettacolare e son sicuro che, non appena rilascerà lo special alla fine del tour, sarà il migliore da lui prodotto e un'altra delle cose più belle di quest'anno.

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