martedì 13 agosto 2013

BREAKING BAD: L'INIZIO DELLA FINE

Il Male è la domanda, la TV dà risposte. Questa è la spina dorsale della Golden Age della televisione. Perché facciamo il Male? Cosa abbiamo fatto di Male? Quali sono le conseguenze? E’ possibile arginare il Male?



Più che essere fatte da qualcuno, queste domande si fanno da sole, sono nel vicinato, sono accanto, intorno, dentro all'America: la golden age televisiva non è altro che il riflesso della “rotten age” degli Stati Uniti, una nazione che ha raffinatissimi strumenti estetici ed economici per raccontare la propria decadenza. In questo senso, se The Wire è lo specchio meno deformante dei cancri americani, Breaking Bad è quello che li trasfigura più profondamente; se The Wire è una tragedia sperimentale, Breaking Bad è un esperimento tragico, se The Wire è la rappresentazione dell'aperto cittadino che si sfalda, Breaking Bad è uno studio dello sfascio dell'individuo.

Sembra ridicolmente tardi per parlare di chimica e Breaking Bad, ma forse c'è ancora un ultimo pensiero da spendere, ultimo e non l'ultimo arrivato. La contrapposizione fra il laboratorio sterile di Walt e gli scenari settici del New Mexico, sensualmente fotografati da Michael Slovis, sta lì a ricordarci che la biologia non può essere mai ridotta alla chimica, che la vita non è né un esperimento prevedibile né ripetibile né sotto controllo. Questo non significa che un esperimento, qualsiasi esperimento sia impossibile… C'è una certa giustizia poetica in Breaking Bad, uno show che è incominciato come un “one man show” ed è diventato, non so, non saprei se usare la parola “corale”.

Quello che so è che Breaking Bad è un esperimento riuscito, prendere una cellula malata e vedere come interagisce con le cellule sane, con altre cellule malate, con gli anticorpi e, solo in parte, con l'organismo nel suo insieme. E’ questa la differenza più grande fra The Wire e Breaking Bad, il primo mostra l'intero organismo che nel suo espandersi e protrarsi si annienta, il secondo il singolo individuo che per sopravvivere si espande, si protrae e annienta ciò con cui viene in contatto, macrochimica vs. microchimica.

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Dunque c'è un esperimento in Breaking Bad ed è quello del Dr. Gilligan che, forse, voleva scoprire come si passa dal “male naturale”, la malattia, al “male morale”, che forse voleva capire le conseguenze del male morale sugli individui e allora, come accade nella scrittura televisiva (che comunque è un altro laboratorio), ha preso un grande protagonista malato e lo ha fatto diventare malvagio, circondandolo di personaggi inerti per vedere cosa sarebbe accaduto. E quel che è accaduto è che quei personaggi inerti hanno reagito, non erano poi così inerti, prima meccanicamente e poi in maniera sempre più complessa, fino al punto che adesso il personaggio più meccanico può sembrare il protagonista, Walter White.

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E' così che arriviamo alla fine, all'inizio della fine, alla prima cosa che vediamo di questa seconda metà dell'ultima stagione di Breaking Bad, il proscenio della famiglia americana in rovina, il palco sul quale Walt ha recitato gli atti più farseschi della sua carriera criminale, a pezzi. Sappiamo che il cancro sta vincendo, forse ha già vinto, che Walt è in fuga, che tutti sanno chi è Heisenberg, che Walt non ha più bisogno di bussare, che la ricina di Čhecov è ancora carica. Non sappiamo come siamo arrivati lì, quali eventi, quali interazioni abbiano condotto Walt a quella che sembra una disfatta, chi sia sopravvissuto a quegli eventi e chi no.

Mostrare subito la fine è una scelta estetica più che brillante perché Walt ha comunque vinto, e anche se alla fine avrà perso più degli altri, l'esperimento, come ho già detto, è riuscito, il Male ha reagito con il resto degli elementi, ha fatto il suo corso e involve, di nuovo, in malattia.

Qualcuno prenderà il posto di Heisenberg nel grande sogno americano del self-made drug lord perché per ora non c'è fine al bombardamento chimico della droga, ma questo non importa qui: dobbiamo guardare The Wire se vogliamo vedere il contesto, il disegno tanatologico della chimica, il geno-stillicidio dell'umanità. Con Breaking Bad il “lato oscuro della chimica” viene osservato con un microscopio e quello che ci resta e ci resterà sono le singole reazioni fra la cellula Walt che distrugge tutto ciò che non si lascia sussumere e le cellule Jesse, Hank, Skyler, Gus, Mike… Se volete, le domande sono queste: cosa fa il Male alla coscienza di chi non lo compie? Cosa fa il Male a chi non se ne accorge? E quando si rivela, a quali compromessi ci inchioda? E’ possibile tornare indietro dal Male?

Tutti i personaggi tranne Walt sembrano imprigionati in domande di questo tenore, immobilizzati nelle domande, persino il più reattivo Hank di fronte al quale Walt, nella splendida scena alla fine dell'episodio, non batte ciglio.

Questo, forse, è ciò che ci aspetta nei prossimi, ultimi sette episodi, forse, se l'azione non prenderà il sopravvento su tutto il resto, se Walter White non sarà così distruttivo da toglierci anche un'ultima piccola rivelazione, questo: fino a che punto siamo complici del male?

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