martedì 19 novembre 2013

IL VOLO DI FABIO

"Una volta una persona mi disse che io raccontavo la vita di quelle case in cui si sente odore di broccoletti. Non ho mai capito se fosse un complimento, una constatazione o se in qualche modo stesse cercando di offendermi. Qualsiasi fosse l'intenzione, aveva ragione".

Il Corriere della Sera non è un palco per Fabio Volo ma il banco degli imputati, e Fabio Volo vuole il suo "giorno in pretura". La prima frase della sua testimonianza (una testimonianza che —come vedremo—intende non tanto discolparlo quanto accusare chi lo incolpa) stabilisce subito una cosa: Fabio Volo è una persona perché, una volta, è stato riconosciuto da un'altra persona. Isolate il centro nevralgico della frase e ne avrete anche il significato: "una persona mi disse che io scrivo la vita". Già che c'è, Volo suggerisce che la vita di cui scrive, evidentemente quella vera, è quella di un passato non ben definito in cui la vita era forse più semplice, in cui l'odore leggermente nauseante (ma verace) dei broccoletti non era coperto dai profumi artificiali dell'Italia di oggi.

La frase successiva si riferisce all'ambiguità di ciò che gli ha detto la persona e non è solo un esercizio di falsa modestia, anzi non è affatto falsa modestia ma la pietra angolare della strategia di difesa di Volo: mettiamo che tu persona volessi offendermi; puoi dirmi quello che vuoi, puoi sminuirmi quanto vuoi ma non ti rendi conto che, così facendo, non fai altro che confermare ciò che sono. Insomma, Fabio Volo sale sul banco degli imputati (nessuno glielo aveva chiesto) e, prima di articolare la sua difesa, fa quello che fanno spesso coi loro clienti gli avvocati dei telefilm: si offre come persona e come vittima. Si umanizza.



Ora, non solo Fabio Volo è una persona ma fu anche un bambino, un bambino che l'inverno giocava nel cortile e poi correva su per le scale con l'acquolina in bocca facendosi strada attraverso l'odore di broccoletti e minestrone. La madre era già ai fornelli, la tavola apparecchiata, il padre "era tornato dal lavoro ed era in bagno a lavarsi". Sono gli anni '70 ma nel condominio di Volo c'è un'atmosfera da anni '50. I ballatoi non puzzano di bistecca alla piastra e cibo fritto, nessuno grida e, se qualcuno lo fa, visto che è inverno è probabile che la neve attutisca ogni suono sgradevole. Va tutto bene nel passato idillico di Volo, nell'età dell'oro dell'uomo comune italiano: le famiglie sono unite, i bambini giocano lieti e le madri cucinano per i padri che portano a casa la pagnotta. D'altra parte, se ricominciamo da capo, questo quadretto fiabesco non può sorprenderci più di tanto: (c'era) una volta una persona...

Il motivo per cui Fabio Volo scrive i suoi romanzi è proprio questa fiabetta, il tentativo di recuperare o evocare quel passato remoto che però non è poi così remoto. Se è remoto, lo è solo perché ormai ci siamo psicologicamente allontanati da quel mondo che in realtà non è mai passato. Infatti, come dirà lo stesso Volo, le famiglie italiane sono ancora così. E lui, Fabio Volo, "non scrive di quelle famiglie perché [è] uno di loro o perché [è] come loro", ma perché "sono loro ad essere come [lui]". Un altro esercizio di falsa falsa modestia e un'altra frase piuttosto ambigua, almeno quanto quella sui broccoletti; e, in ogni caso, la dimostrazione definitiva che anche Fabio Volo è una persona, cioè una persona simile a quella persona che ha pronunciato ingenuamente la frase sui broccoletti per fargli un complimento, magari senza accorgersi che il complimento poteva suonare come un'offesa (anche se alla resa dei conti non poteva essere altro che un complimento).

Tuttavia, come la frase sui broccoletti, la "persona" di cui parla Volo è duplice: da una parte c'è la persona che piace a Fabio Volo e alla quale Fabio Volo si sente affine, dall'altra c'è una persona che ha finora aleggiato sul discorso senza mai palesarsi, quella che forse con il complimento voleva offenderlo, quella che pensa che l'odore di broccoletto sia "sgradevole, poco elegante, per nulla raffinato", cioè la persona che non piace a Fabio Volo e a tutte le persone come lui. Fatto è che nessuna di queste persone, l'adulatore naif e il malizioso offensore, esiste: l'una è il prodotto di un certo narcisismo nostalgico, l'altra del risentimento.

Cominciamo dal primo gruppo di persone, le stesse che Fabio Volo incontra "quando gira per le città a presentare il suo libro". Queste persone sono: signore come sua madre, mariti timidi come suo padre, coppie giovani col bambino piccolo nel passeggino, ragazzi impacciati, emozionati o dalla battuta pronta, suore e preti, professionisti ancora incravattati, artigiani, commercianti, laureati o diplomati o chi ha solo la terza media. Sono persone che non hanno rapporti l'una con l'altra, non appartengono a un fan club né a una "community", non parlano fra loro neanche sui social network e, quando le incontra, Fabio Volo non sale in cattedra e non pontifica, non è "lì per insegnare ma per interagire e condividere". Le persone di Volo non hanno divise né scarpe di "quel tipo" o giacche di "quel modello". Per usare le sue parole: sono indefinibili. Una cosa però hanno in comune: "quasi tutti" hanno in mano un libro, e non importa che sia il libro di Volo perché per loro un libro, qualsiasi libro, è semplicemente "un libro": "un oggetto di carta con una storia dentro. Non un totem, un arnese sacro o il simbolo inviolabile di una identità culturale. Dobbiamo vergognarci?"

Dobbiamo vergognarci? Bella domanda. Intanto, nel mondo immaginato da Fabio Volo non solo gli individui sono indefinibili e del tutto disconnessi l'uno dall'altro ma, come abbiamo visto, persino quegli oggetti che tengono in scacco la nostra identità sono indefinibili. Le persone di Volo sono qualunque e chiunque. Non sono persone ma idee di persone: il laureato, il commerciante, il ragazzino impacciato con una giacca e delle scarpe e così via. E ciascuna di queste persone ("quasi tutti") tiene in mano un libro, o meglio, un oggetto di carta con una storia dentro.

Il secondo gruppo di persone di cui parla Volo (non citandolo mai direttamente se non alla fine dell'articolo) è il nemico implicito della sua persona generica. E' la persona che discerne. A differenza della prima persona, volatile e indeterminata, cioè la persona che unisce ed è unita proprio grazie alla sua indeterminatezza (chiunque ha una giacca e delle scarpe, chiunque è uomo o donna, chiunque è laureato o diplomato o ha la terza media, ecc.), la persona che discerne (e dunque divide), cioè l'intellettuale, invece di abbracciare la molteplicità e la diversità (dell'uniformità), pare abbia dedicato la sua vita a seminare zizzania. Infatti, questa seconda persona come fa a non vedere che, per esempio, i libri di Ken Follet, Philip Roth, Dostoevskij o le Cinquanta sfumature non sono altro che oggetti di carta con storie dentro? Che differenza volete che ci sia? Perché la gente in libreria non può comprare quello che più gli aggrada, chiede Volo? Perché ogni libro deve essere "valutato con lo stesso metro con cui si valuta Dostoevskij"?

Ora, posto che Delitto e Castigo di Dostoevskij è un giallo piuttosto avvincente e può essere letto da chiunque abbia concluso le elementari, non vorrei suonare "intellettuale", ma non erano tutti "oggetti di carta con una storia dentro"? Non dovrebbero tutti essere valutati con lo stesso metro? Fabio Volo intende forse dire che non c'è nessuna differenza, al di là della carta, fra una storia e l'altra? Che anche tutte le storie sono uguali? In effetti, le storie contenute nei libri sono tutte fatte della stessa "materia", i caratteri tipografici; che differenza ci sarebbe in questo senso fra Delitto e Castigo e Quell'attimo di felicità?

A tale proposito, cioè a proposito delle presunte differenze fra un'opera di Moccia e una di Dostoevskij (l'esempio di Volo in realtà deflette il nucleo della questione chiamando in causa il cinema, nella fattispecie Checco Zalone e La vita di Adele), Volo ci informa che solo in Italia è così, solo in Italia Moccia e Dostoevskij sono alternative inconciliabili, non certo negli Stati Uniti. Qui Volo racconta una bugia, non direttamente visto che ci fa solo intendere che negli Stati Uniti non sarebbe così, ma ce lo fa effettivamente intendere e non è così (anche qui Volo trasforma qualcosa di particolare, quella particolare bugia sugli Stati Uniti in una bugia qualsiasi). Negli Stati Uniti i dibattiti culturali e gli "snobismi" sono assai più feroci dei nostri; per esempio, Cinquanta sfumature è stato massacrato più di quanto non si sia fatto qui. Il fatto che ci sia qualcuno in metropolitana che lo legge accanto al tizio che legge Philip Roth (questo sarebbe l'argomento di Volo) è solo una nota di costume, peraltro applicabile anche alla nostra metropolitana. Tuttavia è altrove che Volo vuole andare a parare, e ce lo dice senza indugi: in Italia non abbiamo ancora digerito la distinzione fra cultura e intrattenimento mentre "il mondo si chiede se il libro sia ancora la migliore forma di letteratura". Il "mondo" qui ha lo stesso ruolo delle persone, delle città, dei libri: è un concetto generico, uno dei personaggi senza identità di Volo. La realtà è che nessuno si pone quella domanda perché è una domanda che non ha senso. Al limite, negli ultimi tempi, qualcuno si è chiesto se, per esempio, la televisione non sia un medium capace di raccontare storie all'altezza dei romanzi convalidando, fra l'altro, l'opinione più diffusa, cioè che il romanzo costituisca ancora la più alta forma di "letteratura", lo standard cui tutte le altre "letterature" si riferiscono.

Per sostenere la sua tesi, Volo cita Mad Men, Breaking Bad e Shameless, quest'ultimo il mediocre remake americano di una serie inglese. E' difficile capire cosa esattamente Volo abbia visto in questi show televisivi perché subito dopo dice che si riconosce nei personaggi (in Walter White? in Don Draper? si riferisce al fatto che entrambi sono dei manipolatori?) e aggiunge che questi riescono a essere eroi e antieroi "in un cambio d'espressione". Le due affermazioni si commentano da sole, ma notate un'altra volta l'inafferrabile genericità delle parole di Volo, lo stile sfuggente da ninja del luogo comune.

A questo punto Volo ha "un cambio d'espressione": dice che vorrebbe scrivere di personaggi come quelli di Mad Men e Breaking Bad, personaggi che, qualitativamente, sono gli equivalenti di quelli dei grandi romanzi. Un buon proposito, se non fosse che ciò che sta realmente dicendo è che vorrebbe che la letteratura fosse facile come la TV, che la letteratura, invece di richiedere lo sforzo interattivo di chi ne usufruisce, fosse interpassiva come la televisione. Non può che intendere questo perché è chiaro che ignora tutto il processo che gli ha consentito di "divertirsi" seguendo le storie di Don Draper e Walter White: la scrittura che precede la realizzazione di un episodio (e di una stagione o di molteplici stagioni), le note di scenografia, di fotografia, lo studio dei costumi, le note di regia, la preparazione degli attori e così via; cioè quella sorta di "processo letterario" che è lo standard della TV di qualità contemporanea e che serve a parlare direttamente, ed esaustivamente, all'occhio. Certo, Mad Men e Breaking Bad possono essere anche visti solo come una raffinata soap e un fumettistico thriller psicologico, ma anche Delitto e Castigo può essere letto, come ho già detto, come un semplice, avvincente giallo. Nessuno nega a nessuno il diritto alla superficialità ma, come ben si vede dalla mole di commenti e analisi dopo ogni episodio, Mad Men e Breaking Bad non sono solo intrattenimento superficiale e, soprattutto, non sono un buon esempio per difendere l'altra cosa che interessa a Volo, cioè un vero e proprio diritto all'intrattenimento. Entrambi gli show citati hanno un pubblico esiguo negli Stati Uniti, prevalentemente formato da intellettuali o persone, per usare una parola di Volo, "acculturate". Mad Men è uno show di nicchia e Breaking Bad, protagonista di un tardo successo, non è certo uno show così popolare al di fuori dei social network.

Il fatto è che Volo vuole la botte piena e la moglie ubriaca. Tralasciando il suo esempio di intellettuale risentito (che fa parte delle regioni più basse della cultura: "ho scritto un libro che non ha venduto perché il pubblico non mi ha capito"), Volo non comprende perché si accusi qualcuno (chi se non lui?) di essersi "venduto, commercializzato, abbassato". Invece di difendere veramente il diritto (o il destino) a vendersi, commercializzarsi e abbassarsi, insomma il diritto all'intrattenimento popolare, finalmente Volo scopre le carte: è il disamore degli altri che lo disturba. Fabio Volo vuole essere amato da tutti. Vuole vendersi, commercializzarsi, abbassarsi e ricevere una carezza anche da chi, quali che siano le sue ragioni, pensa che vendersi sia sbagliato. Infatti, quando il saggio (cioè l'intellettuale) gli indica la Luna, Fabio Volo si fissa sul dito, quel dito "rigido [che] indica, giudica, comanda". Dice che gli riesce bene fare lo "stolto" ma ciò che ci sta vendendo qui non è la stoltezza quanto piuttosto una figura contemporanea di idiot savant: il savant idiot. Al contempo, ciò che ci obbliga a comprare è la figura di un intellettuale-giudice del gusto dal giudizio inappellabile, una sorta di nazista della cultura che il dito lo punta chiaramente non verso la Luna ma (ingiustamente) verso Fabio Volo.

Per fortuna Volo ci informa che "il clima sta cambiando". Walter Siti ha scritto una "fenomenologia bonaria" di Barbara D'Urso (quella di Mike Bongiorno scritta da Eco era evidentemente troppo "cattiva") e l'ultimo libro di Francesco Piccolo "ci invita ad accogliere la nostra epoca, senza arrocamenti sul passato" (qualsiasi cosa voglia dire). Siamo spossati ma, finalmente, "qualcuno sta cercando di superare quella linea immaginaria, quel discrimine fra un'Italia giusta e una sbagliata, tra i buoni e i cattivi, tra i Guelfi e i Ghibellini".

"Credetemi, non lo dico per me (anzi, in questi anni quel dito contro mi ha rafforzato pubblicamente e privatamente) ma me lo auguro per questo Paese, un Paese stanco e ferito, che ha necessità di emanciparsi. Mi auguro, insomma, che si torni al confronto vero, e che lo si faccia al più presto. Anche tra "acculturati" e "intrattenitori", tra intellettuali e broccoletti e che la critica (anche la più severa) sia depurata dalla tossicità e dall'odio". Firmato Fabio Volo, persona, vittima, mecenate del gusto, altruista nazionale, essere umano.

Nessuno è una persona qualsiasi e un libro non sarà mai un libro qualsiasi, non quanto, senz'odio, è qualsiasi un libro qualsiasi di Fabio Volo.

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