domenica 1 dicembre 2013

PERSON OF INTEREST: LA QUOTA DEGLI ANGELI

Questo articolo è apparso per la prima volta su Serialmente il Primo Dicembre 2013.

La serie delle American Recordings di Johnny Cash non è solo il capolavoro senile di uno dei grandi del ‘900 ma il testamento della cristianità “personale” degli US&A. Nessun Dio nella storia è mai stato tanto personale quanto quello americano e, qualsiasi interpretazione vogliate dare a Personal Jesus dei Depeche Mode (un classico anche di Cash) o a Hurt dei Nine Inch Nails (il pezzo all’inizio del decimo episodio della terza stagione di Person of Interest), l’appropriazione e la personalizzazione di un Grande Altro — religioso o sentimentale (nel caso dell’amore) o chimico (nel caso delle droghe) o quello che preferite — è il marchio di fabbrica dell’ideologia motivazionale americana. Al fanatico, Dio parla in un linguaggio prescrittivo, secondo una catena di comando “militare” che trasmette l’ordine dal Sommo Capo all’esecutore senza contaminazioni emotive; all’uomo di ragione, Dio suggerisce possibili corsi d’azione, offre motivazioni che possono anche essere messe in discussione, insomma si apre al dialogo: il Dio dei fanatici è un manager metafisico, quello degli uomini di ragione è un consulente trascendentale.



The Devil’s Share è un episodio con cui Person of Interest si candida per un posticino nell’Empireo degli show televisivi, l’episodio con cui, come si suol dire, trascende.

Hurt, dunque, cantata da Johnny Cash con quella inconfondibile voce da ironista apocalittico, e poi un montage superbo che comincia con un funerale senza lacrime, passa per l’estrazione del numero di Simmons e finisce con Reese, incurabile, sulle tracce dell’assassino di Carter. Si gioca a carte scoperte e si gioca, contro ogni principio finora enunciato, per inverare la profezia di The Machine: per una volta il Numero dovrà morire. Ribaltamento geniale: sarebbe sufficiente aspettare, mettersi comodi in attesa che il destino di Simmons si compia. Ma ce lo vedete Reese che aspetta sull’argine di un fiume il cadavere del suo nemico? Ce lo vedete a braccetto con gli dei pazienti di Varanasi? Il lutto non è una liquidazione ma un processo.

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Se la cosa non è abbastanza chiara, arriva il primo flashback dell’episodio, la prima rappresentazione del limbo procedurale del lutto e di quel dialogo con il “personal God” di cui parlavo prima. Lo vedremo altre tre volte questo dialogo, protagonisti Shaw, Reese e Fusco, ogni volta nella penombra di un ambiente purgatoriale, ogni volta con una figura di spalle, anonima, autorevole più che autoritaria, un Dio interiore col quale è possibile il disaccordo, un Piccolo Grande Altro, un consulente al quale domandare, per esempio, domande impossibili: se il lutto ha uno scopo o se la responsabilità di sopravvivere può essere perdonata.

Sono le domande di Finch ma sono anche domande che hanno certa universalità. Fra le ultime rivelazioni di Snowden c’è quella dei sei leader islamisti che l’NSA era pronta a discreditare rendendone pubbliche le abitudini pornografiche. Shawn Turner, il portavoce del Director of National Intelligence (un consulente, un altro, del Presidente degli Stati Uniti) ha reagito pacificamente dicendo che non c’è nulla di strano se gli Stati Uniti usano tutte le armi a loro disposizione per difendersi da eventuali pericoli. Tradotto: dobbiamo forse ritenerci responabili perché sopravviviamo? Responsabili non solo per la diffamazione ma magari anche per le morti civili o la generica imprecisione dei droni? Dobbiamo ritenerci responsabili se la nostra sopravvivenza causa l’estinzione dell’altro? Anche quando siamo responsabili a tutti gli effetti? Responsabili così come Finch si ritiene responsabile per la morte di Nathan dopo l’esplosione del traghetto nel 2010?

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Intanto, nel 2013, Root offre per l’ennesima volta il suo aiuto, che è poi l’aiuto di The Machine, inquietante presenza di ciò che può essere o non essere senziente, inquietante presenza di Root e del suo sorriso ambiguo (© Amy Acker), vibrante anticipazione della singolarità. In una partita a scacchi puoi calcolare la profondità di tutte le mosse oppure avere un piano, una visione sinottica, una strategia tradotta in un progetto estetico e bellico. Capisce The Machine la bellezza delle sue contromosse? O reagisce solo meccanicamente alle mosse degli esseri umani? La singolarità, la macchina pensante, sarà il Grande Altro definitivo? L’uomo diverrà onnipotente solo quando finalmente, invece della vita, avrà creato un Dio?

Lo scenario apocalittico di Skynet in Terminator aleggia fin dall’inizio su Person of Interest ma Skynet è “semplicemente” una macchina (anzi, una rete di macchine) che dichiara guerra all’uomo. The Machine si avvia a essere molto più di una “semplice” macchina senziente. Dice Root a Finch: qualsiasi cosa fosse ciò per cui la tua Macchina ha voluto prepararmi, sta per arrivare. Cosa vuole, se vuole, l’onnisciente The Machine?

Domanda inutile in questo momento, perché bisogna non tanto eliminare Simmons quanto salvare Reese (troppo debole per sopravvivere alla sua stessa vendetta) e dunque trovare Quinn.

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Nell’attesa, facciamo un altro salto indietro, nel 2005, quando Shaw era, ecco, esatto, il camice e lo stetoscopio non sono un travestimento per sgattaiolare nella stanza d’ospedale di qualche vittima: Shaw era un medico prima d’essere un sicario. Chiaro che qui è l’uscita di Carter a aprire un’autostrada per l’approfondimento di Shaw, ma l’idea di Nolan è talmente elegante che entra in gioco non come un’opportunità ma come una necessità. Fare televisione è come battere a macchina senza tre o quattro tasti, una vocale, un paio di consonanti e un segno di interpunzione; quando la TV è scritta a questo livello senti suonare anche le lettere che non ci sono. Sia come sia, Shaw era un medico tipo Cristina Yang di Grey’s Anatomy: una macchina perfetta senza empatia. E’ per questo che il “personal God” di Shaw le dice che non sarà mai un dottore: non conosce la differenza fra aggiustare e curare. In altre parole: è incapace di lutto.

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Però la Shaw del 2013 è in grado di persuadere Finch a accettare l’aiuto di Root: la gabbia s'apre e il telefono squilla. E così, Finch, Shaw, Fusco e Root partono alla carica dell’edificio in cui Quinn è tenuto in custodia da un gruppetto di U.S. Marshal. C’è anche spazio per l’ironia di Fusco e per una “pistola di Chechov”, anzi due, che torneranno utili dopo il flashback di Reese.

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Ancora indietro, nel 2007. Le domande di Reese non sono meno difficili di quelle di Finch. O sono le sue risposte? Il “personal God” di Reese è un traditore (anche le sue domande sono un tradimento, del ruolo di “personal God”) e, allora, non è forse giusto uccidere un Dio che non fa bene il suo mestiere? Non c’è lutto per un Dio sbagliato.

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Di nuovo nel 2013: Finch & Co. fanno irruzione nell’edificio dei Marshal proprio mentre Reese si fa strada verso Quinn. E qui parte una delle migliori sequenze d’azione della TV degli ultimi anni, girata da Chris Fisher e dipinta con diverse porzioni dello spettro elettromagnetico, il verde della visione notturna, il rosso delle luci d’emergenza, il nero, il bianco dei candelotti nebbiogeni e il bianco/nero della luce lampeggiante di sicurezza: un’ode visuale al tema più profondo di Person of Interest, cioè l’occhio, la vista, la visione, la pre-visione.

E’ chi non vede, è il cieco, sono Reese e poi Finch & Co. (guidati dalla bussola divina di The Machine), gli unici che vedono e possono muoversi alla cieca: ogni illuminazione incomincia con un accecamento. Tradotto in termini spettacolari, significa una progressione inarrestabile di Reese e lo showdown ambidestro di Root (kind of lame… okay, that was kind of hot). E così è Reese a raggiungere Quinn prima di tutti, come dev’essere perché Reese è Reese, e come dev’essere perché il dialogo tra i due è perfetto: tu credi che io tradirò Simmons quando la lealtà è ciò che ci ha tenuti insieme fino a questo punto, dice Quinn. Ecco, ci capiamo, dice Reese, e allora senti questa: ti ammazzerò comunque, il punto è come. Morirai subito o in tre minuti, e quei tre minuti saranno più lunghi dell’eternità. In questo momento Reese è il “personal God” di Quinn.

Nessuno vuole morire in eterno (diciamo che una vita basta) e Quinn, prevedibilmente, confessa. Prima che Reese, come promesso, prema il grilletto, compare Finch (non vi viene il dubbio che il “personal God” sia sempre il tizio che compare al momento giusto — o sbagliato — per darci il consiglio giusto — o sbagliato?). Fatto sta che Finch ricorda a Reese che è uno dei buoni, invano in realtà, perché Reese non vede l’ora di scaricare la sua riserva di piombo su Quinn. Non è che il deus ex machina sia il più fine dei tropi narrativi, ma se prende la forma di un’automatica che non funziona perché è fradicia di sangue, chi siamo noi per lamentarci?

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A questo punto, uno potrebbe pensare che un episodio così non avrebbe più nulla da dire. Invece, Fusco viene rispedito nel 2005, dove confessa al suo “personal God” che non c’è lutto per l’ingiusto. Anzi, non esistono giustizia o ingiustizia, solo equità (ancora l’occhio: occhio per occhio). Fusco ha assassinato un assassino sfuggito all’arresto: è ciò che in gergo i poliziotti chiamano Devil’s Share, il titolo dell’episodio, la “quota del Diavolo”. Angel’s Share, la quota dell’Angelo, è la quantità di alcol che evapora durante la distillazione: la quota del Diavolo è tutto ciò che rimane?

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Di nuovo nel 2013, Fusco trova Simmons e lo mette KO in un incontro di pugilato aeroportuale. Si ferma lì però, perché Fusco non è più quello del 2005 e lo dice chiaramente in un bellissimo monologo che è il miglior epitaffio per Carter. Ammanetta Simmons e lo consegna alla giustizia. E allora, bene, tutto è bene quel che finisce bene. Se non fosse che il numero di Simmons è uscito all’inizio dell’episodio e, in verità, nessuno ha fatto niente per salvarlo. Infatti, mezzo vivo in un letto d’ospedale, Simmons riceve la visita non del dottor Shaw ma di Elias, dottore in crimine e oratoria, uomo più antico della civiltà che onora la civiltà di Carter facendo uccidere l’assassino di Carter (ancora gli occhi: guardando il suo sicario che uccide Simmons).

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Nessuno piange in Devil’s Share tranne Reese: una lacrima. Il lutto, il luctus, è l’atto di piangere. L’occhio umano può anche essere cieco ma non può smettere di lacrimare o trattenere le lacrime. The Machine vede tutto, ha infiniti occhi, ma nessuno che possa piangere.

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