venerdì 26 ottobre 2012

LA TV DEL FUTURO (I): LA TV DEL PASSATO O TV NARCO-IPNOTICA

Partiamo da qui: tutti si lamentano del sistema di monitoraggio dei rating Nielsen. Non da ieri ma da qualche anno. Alla fine Nielsen, il cui monopolio non è esattamente in pericolo ma un po' sì, ha deciso che è meglio prevenire che curare: la prossima mossa sarà adottare un nuovo sistema di monitoraggio. Partiamo anche da qui, cioè da questo articolo (british) che parla di questo nuovo sistema e che sia spiega in cosa esso consista (in soldoni, Nielsen monitorerà anche Internet, Netflix, Hulu, ecc.) sia ci ragiona un su. Quel che Cory Barker, l'autore dell'articolo, dice è (ancora in soldoni) questo: il nuovo sistema Nielsen potrebbe essere un vantaggio per lo spettatore perché tiene in considerazione anche media differenti dall'apparecchio televisivo e dunque spettatori differenti che, altrimenti, neanche guarderebbero un particolare show... E' un'ipotesi ragionevole?

Se avete letto questo mio articolo sulla cancellazione di Luck (lo show di David Milch abbattuto come un cavallo), saprete che distinguo la TV del passato e quella del futuro con due diciture: medium narco-ipnotico e biotelevisione. La televisione del presente si trova a metà fra queste due espressioni.

La TV classica non è esattamente uno stato ipnotico quanto piuttosto il processo stesso dell'ipnosi. Come il pendolo dell'ipnotista, la TV classica replica senza soluzione di continuità la stessa funzione offrendo qualcosa di molto simile a ciò che Zizek chiama interpassività, ovvero quel meccanismo per il quale, per esempio, in certe sit-com le canned-laughs ridono al posto nostro, cioè fanno per noi quello che noi dovremmo fare per la sit-com, con il risultato che sarà quella particolare sit-com a divertirsi e non realmente noi (che poi è lo stesso principio della pornografia dove qualcuno scopa, e alla lunga gode, al posto nostro). Per capirci meglio, l'interpassività non equivale, che so, all'immedesimazione, perché se l'immedesimazione è una sovrapposizione del soggetto, l'interpassività è piuttosto una sostituzione del soggetto, se l'immedesimazione ci permette di condividere le stesse emozioni di un personaggio (con conseguenti ampliamenti della nostra coscienza/conoscenza e magari catarsi), l'interpassività vive i personaggi e le storie al posto nostro.

The Mentalist è uno show che può aiutarci a comprendere pienamente questo concetto. Se non conoscete quest'opera di Bruno Heller (che prima fece Rome per HBO), in due parole parla di un ex con-man che, durante una trasmissione televisiva, sfida un noto serial killer (Red John) e paga per la sua hybris con la morte della moglie e della figlia. A questo punto, passa dalla parte dei "buoni" e diventa consulente per il CBI (un FBI "regionale" — californiano per la precisione — che oggi si chiama BI).

I super poteri di Jane sono una gigantesca cultura (è uno dei pochi personaggi che vediamo leggere sul piccolo schermo), capacità deduttive no-limits, vocazione psicologica (riconosce uno psicopatico in cinque secondi) e interpretazione delle micro-espressioni. Patrick Jane è in sostanza una somma summa di tutti i detective televisivi e il suo unico punto debole risiede in una quasi totale mancanza di forza fisica, un'imperfezione che comunque viene compensata dalla muscolarità dei colleghi Lisbon, Rigsby, Van Pelt e Cho.

Spettatori del loro stesso show, Cho e Rigsby non sono molto dissimili da noi.


The Mentalist non ci piace (o piaceva) solo perché il protagonista ha un background interessante, il serialkillerismo non è abusato e perché — come spesso ho scritto — alla stregua di Columbo nello show viene punita l'arroganza dei ricchi. E' uno show affascinante anche perché è un esempio della nostra interpassività. Lisbon & Co., infatti, non fanno nulla nello show a parte proteggere Jane e, alla fine, mettere le manette al criminale di turno, sono personaggi inutili che in decine di episodi non hanno mai risolto un singolo caso senza Jane, sono l'apoteosi dell'interpassività: siamo noi in televisione.

Non per rincarare la dose, ma è anche accaduto qualcosa nelle ultime stagioni che h esarcebato questa caratteristica di The Mentalist: improvvisamente l'anno scorso, Bruno Heller (forse stimolato in tal senso da CBS, il network su cui va in onda The Mentalist) ha aggiunto brevi flashback alla fine di ogni episodio per spiegare come il crimine della settimana è esattamente avvenuto. Non è che The Mentalist richieda una laurea, per cui questa aggiunta è un tipico esempio di interpassività, ovvero di uno show che non ci fa fare neanche la fatica di tirare le conclusioni perché (ripeto, molto probabilmente) il network sul quale viene trasmesso ha deciso che pensare a quasi niente era comunque pensare troppo.

In effetti CBS ha gli scripted show più interpassivi in onda. I procedurali per loro natura hanno già una struttura statica e ripetitiva e quelli di CBS, se escludiamo The Good Wife e Person of Interest, sono anche pieni di spiegazionismo e soluzionismo, cioè non ci fanno fare nessuno sforzo perché non lasciano nulla all'equivoco: i buoni sono buoni e i cattivi cattivi, le prove sono sempre schiaccianti e, se avete qualche dubbio, c'è sempre qualcuno che fa un riassuntino.

---> 2. Interpassività

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