venerdì 26 ottobre 2012

LA TV DEL FUTURO (IV): IL FUTURO DELLA TV

L'Infinite Jest di Wallace è un po' come la barzelletta che uccide dei Monty Python (adoro quando i soldati inglesi saltellando verso le linee nemiche leggono la traduzione tedesca della barzelletta), un intrattenimento così perfetto che, dopo, nessun intrattenimento è possibile. E' l'intrattenimento come soluzione finale.




Il modello attuale di TV brandizzata cerca di realizzare qualcosa di simile, senza però eliminare lo spettatore ma mantenendolo in uno stato di semi-coscienza vigile perché possa reagire agli stimoli a bassa intensità della TV interpassiva 2.0, cioè quella interattiva-passiva di genere*.

* N.b. la TV di genere non è come i film di genere, non è un ambito nel quale ci si può addentrare verticalmente per costruire metafore di mondo. I generi di cui parliamo qui sono più vasti, sono strutture narrative, format, divisioni del tempo e dello spazio già in atto sul foglio-storia della sceneggiatura. Sono topoi o tropi, se volete, meccanismi narrativi, aggregati di relazioni che sono il risultato di esperimenti combinatori con lo scibile della narrazione.

Per realizzare ciò, ovvero per constatarne l'efficacia, questa TV utilizza il modello analitico della televisione classica, cioè i rating Nielsen che, come ho già detto, per quanto certamente non siano la sola fonte di grattacapi per gli analisti dei network, sono una efficace sintesi demografica, una sorta di chiave universale che riassume, semplificandoli, i diversi dati a disposizione.

La differenza fondamentale di questa TV con la TV classica è che nei nuovi (insomma, non più tanto nuovi) paradisi artificiali delle televisioni a pagamento è possibile sperimentare strutture narrative con maggiore libertà e offrire a un pubblico più raffinato e meno addomesticato strutture aperte, storie che non devono necessariamente conformarsi alle regole sanitarie degli zoo.

Se la cosa ha prodotto alcune delle opere più belle che siano mai passate in televisione ("golden age"), si è anche dimostrata un'arma a doppio taglio perché da quelle opere (The Sopranos e The Wire in particolare) non si è proceduto a una ulteriore liberazione ma alla definizione di nuovi confini, più larghi di quelli dei broadcast network (e non mi riferisco alla libertà di usare parole proibite o mostrare la nudità, anche se sono correlate alle libertà narrative) ma pur sempre confini. HBO è stata la prima a rallentare il processo di cambiamento che pur aveva inaugurato, a tal punto che si è fatta superare da AMC (che trasmette i due migliori drammi attualmente in onda, Mad Men e Breaking Bad), FX (che trasmette la migliore comedy, Louie) e persino Showtime (che trasmette lo sperimentale Homeland, fatto solo di finali di stagione e viceversa di quel Lost che era fatto di reiterati pilot).

Golden Age è un nome giusto per questo periodo della TV, perché indica un effettivo momento di grandezza ma suggerisce anche una certa decadenza, come qualcosa ormai passato: Belle Epoque sarebbe un'espressione ancor più consona.

La situazione è questa: ci sono due popoli a tasso di crescita doppiamente negativo perché i cittadini di queste nazioni, i broadcast e i cable network, si spostano sia verso altri contenuti sia verso altri media. Questi "svuotamenti" progressivi sono sia preoccupanti sia confortanti. Da un lato infatti indicano una tendenza chiara: le persone guardano meno televisione Live, cioè quella che tiene in piedi il modello di business di questo media. D'altra parte, più il pubblico si assottiglia (e si parla già di numeri interessanti) più quel modello di business si stabilizza. In altre parole, la popolazione televisiva tende a ridursi al suo zoccolo duro, a una comunità immunitaria. Contemporaneamente, gli stessi contenuti Live vengono assunti in forme e tempi diversi, e tramite diversi media, cioè attraverso canali che influiscono solo parzialmente sul modello di business (dico parzialmente perché, che so, la pubblicità occulta se la sorbiscono tutti e non è una fonte di guadagno irrisoria per chi produce programmi televisivi). Sarei tentato di dire che una parte del pubblico, popolo "esterno" in via di formazione, assume i contenuti in maniera più ecologica, senza gli additivi della pubblicità, e in tempi e modi consoni al proprio stile di vita: ciascuno di noi ha il proprio fuso orario per quel che riguarda l'intrattenimento.

Internet è la cosa che ha reso possibile tutto questo, che ha reso gassoso tutto ciò che siamo abituati a definire liquido: vasi, vasche, pompe, canali, tubi, dighe o acquedotti sono inutili ostacoli che il "fumo nero" dello spettatore contemporaneo può scavalcare senza fatica, annullando spazi e tempi televisivi.
Questo spettatore gassoso che può assumere l'intrattenimento come preferisce, che può guardare il suo show preferito la mattina in treno mentre va al lavoro o due giorni dopo quando sa che avrà il tempo di goderselo, che può consumare un programma senza interruzioni o interromperlo quando vuole per fare qualsiasi cosa voglia fare (aspe' che 'sta scena mi ricorda un articolo che ho letto ieri...) o guardare in multi-tasking, che può twittare con uno showrunner in qualsiasi momento, che può scegliere i compagni di viaggio della sua esperienza e così via, è uno spettatore con esigenze completamente diverse dallo spettatore televisivo classico e, soprattutto, ama i contenuti televisivi ma non necessariamente la televisione. Qui l'esempio di Community fa al caso nostro perché forse questo show che fu di Dan Harmon sarebbe sopravvissuto in un modello di business diverso da quello attuale**. Il "forse" è d'obbligo perché la verità è che non lo sappiamo e (forse) non lo sapremo mai.

** Da quando è stato scritto questo articolo, Community è stato cancellato e resuscitato due volte. Attualmente (2015) va in onda su Yahoo!.

Fatto sta che Community, come altri che sono andati in onda negli ultimi anni, è un prodotto poco adatto a un pubblico interpassivo e, probabilmente, anche poco adatto all'animale snob delle riserve-cable (perché non fa parte di alcun brand). E' un prodotto, come Louie o come Enlightened, che si riferisce a un certo tipo di identità extra-televisiva, che difficilmente può piacere a chi non ama la televisione. Senza dubbio è uno show che in televisione non rende, come un piatto di trippa servito a colazione. La sua attitudine metanarrativa e la sua riflessione sui meccanismi narrativi sono ideali per quel pubblico che prima ho definito "esterno" ma che è tuttavia interno all'intrattenimento globale scaturito da Internet. La domanda fondamentale dunque é: senza televisione sarebbe stato possibile Community? Ovvero: senza i mezzi possenti e le riserve auree della TV, sarebbe stato lo stesso show? Sarebbe sopravvissuto, magari a colpi di 5$ come nel modello di business di Louis C.K.?

E' un modello di business universalmente applicabile quello di un artista che vende online, senza intermediari, la sua opera per un prezzo irrisorio? E' applicabile alla serialità? O c'è comunque bisogno di una struttura mastodontica e dispersiva come i network per realizzare professionalmente uno show, qualsiasi show?

Louis C.K. ha incassato un milione di dollari in tre giorni vendendo il suo special al Beacon Theater e, in seguito, ha persino raccontato sul suo blog e in varie interviste come quei soldi li ha spesi (costi di produzione, bonus ai collaboratori e un quarto dei soldi in beneficenza). E' questa la trasparenza che ci aspettiamo in futuro? Televisione Bio più che biotelevisione?

Abbiamo visto che The Walking Dead ha fatto 15 e 14 milioni di spettatori nei suoi primi due episodi della terza stagione. Sarà così anche in futuro, cioè che show-evento (e magari solo questi) riusciranno a addensare lo spettatore, qualsiasi spettatore, intorno all'esperienza Live?
I download illegali si avvicinano spesso ai numeri del Live (soprattutto quando il Live è basso). Fra questi leechers, quanti sarebbero disposti a pagare per vedere magari quel singolo show che amano? E non è anche che queste "sanguisughe" (di cui noi facciamo, nostro malgrado, parte) sono forse necessarie? Che c'è chi non pagherà mai per qualcosa che può avere gratis ma anche chi non può pagare ora (ma potrà), e dunque rappresenta una reserve armée, un esercito di riserva (di spettatori) che è chiaramente necessario a ogni microcosmo economico. E' possibile che i download verranno tollerati? O la TV cercherà di arginare i cambiamenti con il proibizionismo? Ci stiamo dirigendo verso un intrattenimento virtuoso o uno vizioso come quello di 1984 di Orwell?

Aumenterà la pubblicità occulta? O il costo di questa? Saremo bombardati da finta interattività, come nel caso di NCIS Los Angeles che offre un'applicazione dell'iPad per accedere a contenuti extra durante la visione dello show? Oppure ci abitueremo sempre più a pensare, riflettere, mettere in discussione noi stessi e cercheremo di vedere più cose come Louie e meno The Big Bang Theory (nel quale, fra l'altro, c'è anche l'interpassività del sapere scientifico: i personaggi calcolano al posto nostro)? O forse ci sarà solo maggiore diversificazione dei contenuti perché, globalmente, ci saranno sempre fruitori di offerta interpassiva ma anche un piccolo show sperimentale non avrà problemi a sopravvivere?

E gli inserzionisti, come reagiranno? Dove indirizzeranno i capitali? Che tipo di pubblicità offriranno? Una pubblicità à la "cura ludovico" di Arancia Meccanica o quella skippabile di YouTube (che non ha ancora cambiato, ma lo farà, i meccanismi di persuasione occulta)? E se i network verranno scavalcati da una democrazia televisiva diretta, se cominceremo a comprarci l'intrattenimento senza passare per l'Esselunga, dove si sposterà la gigantesca mole di pubblicità che si riversa ogni giorno sulla TV? Non ci saranno rappresaglie e boicottaggi? Andiamo verso il modello del cinema mainstream/indie o verso qualcosa di nuovo, diverso e più catastrofico?

Tante domande. L'unica cosa certa è che la TV è un medium sull'orlo del collasso.

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