giovedì 28 settembre 2017

STAR TREK: DISCOVER YOURSELF

C'è questa scena all'inizio del pilot di Star Trek Discovery (STD? ... PTSD?): Michael Burnham—il personaggio interpretato da Sonequa Martin-Green e il miglior personaggio dai tempi di Kirk e Spock, se non altro perché, se non l'avevate capito, Michael è Kirk+Spock—esplora un macchinario/astronave Klingon... e anche se state guardando l'episodio in 4K o a tutto muro con un proiettore, il livello di stupore è circa zero.

Infatti c'è così poco stupore in questa scena che Martin-Green si stupisce al posto nostro raccontando tutto quello che vede (e vediamo anche noi) all'equipaggio della Shenzhou, la nave della quale è primo ufficiale... è bellissimo, magnifico, fantastico, è tutto molto splendido e vorrei che anche voi foste qui con me, in mezzo a questo macchinario Klingon dalla funzione enigmatica e soprattutto, se non ve ne siete ancora accorti, qui all'inizio di questa nuova serie di Star Trek che—grazie tante—non c'entra niente col reboot cinematografico di JJ Abrams...



L'ultima volta che un pilot di una serie di fantascienza ci aveva stupiti era il 2003 o 2004, cioè ai tempi della miniserie Battlestar Galactica o, se preferite, della serie regolare che andò in onda un anno dopo. Io preferisco 33, il pilot della serie regolare, perché è un pezzo di televisione talmente perfetto che, probabilmente, non sfigurerebbe in una classifica dei migliori dieci episodi di sempre. La flotta dei sopravvissuti delle Dodici Colonie, gli ultimi esseri umani nell'universo, viene braccata dai Cylon che ricompaiono inspiegabilmente 33 minuti dopo ogni salto FTL.

Invece di applicare una pressione accresciuta nei punti nevralgici del format, al minuto 10, 20, 40 e poi climax, risoluzione, eccetera... l'episodio sottopone i personaggi alla stessa, costante tensione dal'inizio alla fine, mettendone alla prova la resistenza e l'umanità. Quando la tensione si dissipa, lo fa con un climax che è in realtà un anti-climax e con il riscontro oggettivo e terrificante per cui salvare l'umanità come specie potrebbe significare perdere per sempre l'umanità che c'è nei personaggi.

Tralasciando la storia—perfetta fino a quando la ricerca dei "final five" non diventa una parodia religiosa—il contributo più importante di Battlestar Galactica è stato mostrare che la fantascienza in TV avrebbe potuto essere come tutto il resto della TV, come The Sopranos o The Wire o tutti gli altri show della cosiddetta Golden Age. Battlestar Galactica ha dimostrato che, raggiunta una certa soglia di verosimiglianza, non servono una profusione di (cattivo) CGI e quintali di Jabberwocky scientifico di fronte a pannelli variamente luminosi per fare della buona fantascienza, cioè non serve essere Star Trek: The Next Next Generation. Infatti, l'ha dimostrato così bene che, dopo BSG, tutti hanno cercato di copiare BSG (fallendo con diversi gradi di successo) invece di emulare Star Trek come si faceva una volta.

Discovery non ignora il fatto che la televisione è cambiata, che non è più tempo per The Next Generation o per il pur coraggioso Deep Space Nine, non pretende di essere ancora nell'età dell'oro del franchising a cavallo degli anni '90, eppure sembra ignorare che Battlestar Galactica (o Babylon 5) sia mai esistito e che siano mai esistiti tutti i vari tentativi d'imitazione. Consapevolmente si offre al pubblico non come qualcosa di nuovo ma come un nuovo Star Trek, cioè come un'evoluzione del franchising, e come se questa evoluzione fosse avvenuta in una bolla di vetro.

Star Trek Discovery non è il reboot di JJ Abrams ma è di fatto una sorta di reboot, un restyling ispirato all'estetica dei video games e anche, perché no, al loro ritmo. Il risultato è estraniante perché la sensazione non è quella di essere di fronte a una storia ambientata in un'era pre-Kirk ma in un futuro talmente remoto che persino il CGI fa fatica a immaginarlo, un futuro che potrebbe essere quello di qualsiasi mediocre serie di fantascienza e nel quale, tanto vale dirlo, i Klingon sono draghi di Komodo parlanti.

Potrei soffermarmi sulle incongruenze della trama, le semplificazioni, le motivazioni astruse di alcuni personaggi (o intere civiltà), i buchi narrativi da paura, la mancanza di un singolo grande momento cinematico, le architetture d'interni (ugh), ma la cosa più frustrante è vedere un grande personaggio, Michael Burnham, interpretato da una grande attrice (entrambi, personaggio e attrice, sono la più importante eredità della reggenza di Bryan Fuller) sacrificati in uno show il cui fine principale è "essere Star Trek, non sia mai" (e, ovviamente, raccogliere sottoscrizioni per lo streaming di CBS). Martin-Green/Michael Burnham è, per ora, l'unica ragione per cui guardare Discovery (STDIS, per la cronaca).

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