martedì 19 dicembre 2017

TV: 2017 (I) - I'M THE TV!

I'm the FBI! dichiara l'agente Dale Cooper non appena si risveglia dal sonno della televisione e della storia americana. E' un istante di pura gioia per chi assiste al miracoloso ritorno di Coop in Twin Peaks: The Return dopo venticinque anni di esilio nella Black Lodge.

Nel frattempo la televisione ha creato mostri: copie non certificate del "Double R Diner" e della famosa "cherry pie" di Norma si aggirano per i vecchi "US of A" e Norma non è felice... Ma sono la stessa ricetta! protesta Walter, il tipico tipo corporativo, il socio col quale Norma ha sviluppato il franchising. E' la stessa ricetta ma non gli stessi ingredienti, dice con calma Norma sollevando un dito medio immaginario che riempie tutto lo schermo... David Lynch sa perfettamente quello che fa e può permettersi una certa autoindulgenza in questa e in un paio di altre occasioni: sa benissimo che non esisterebbe questa TV senza Twin Peaks e, d'altra parte, senza Twin Peaks la TV, per quanto grande, è una TV con l'anima divisa in due...



La vita è una ma i sogni infiniti sembra dirci David Lynch, sfumano dal becco di una teiera, attraverso una presa della luce o un campo elettrico, dallo spazio che si estende tra i piani dell'esistenza, la realtà—per quanto reale—le logge bianca e nera, gli apparati temporali del Pompiere, le vite possibili e impossibili...

Il primo atto dell'universo è una fissione, la divisione dal nulla del bene e del male. Nel ripetere questo atto l'uomo ha creato The Experiment e BOB, mentre David Lynch, entrando con la cinepresa in Trinity, la prima esplosione nucleare della storia dell'umanità, ha creato una sequenza cinematica di pura bellezza.

La Trenodia (per le vittime di Hiroshima) di Krystzof Penderecki accompagna giustamente queste immagini di Lynch che ricordano quelle di Kubrik in 2001 accompagnate da Atmopsphères di György Ligeti. Come Ligeti, Kubrik costruisce la polifonia dei suoi film con la direzione meticolosa del più piccolo particolare, fino al punto da rendere invisibile qualsiasi inaccuratezza o approssimazione. Lynch, come Penderecki, ottiene la polifonia delle immagini attraverso una imprevedibilità controllata grazie alla quale i performer sono liberi, fino a un certo punto, di seguire il proprio tempo. Le immagini di Lynch eccedono sempre la partitura così come quelle di Kubrik sembrano sempre—certo lo erano ai suoi occhi—meno precise del foglio musicale.

L'effetto è simile ma non lo stesso e le due discipline compositive, portate all'estremo, danno risultati completamente diversi. Il tempo è oggettivo e rigoroso in Kubrik, come nell'ascesa e caduta di Barry Lyndon o nel moto perfettamente circolare di 2001; in Lynch il tempo è completamente soggettivo, incalcolabile. Così, la prospettiva indeterminata dei personaggi si sovrappone a quella degli spettatori, e se i rapporti causa-effetto restano comunque inalterabili—Il passato determina il futuro, dice Cooper—il passato e il futuro non sono luoghi fissi nel tempo (o nello spazio) né per Cooper né per noi. Che anno è? chiede Coop alla fine di The Return...

Nella sua ossessione per la salvezza di Laura, forse un'esca per attirare sia il male sia il bene, Cooper attraversa spazi, tempi e dimensioni: il suo nostos, il suo ritorno richiama alla mente quello di Odisseo solo per un attimo prima di trascenderlo completamente nell'indeterminatezza del finale. Nella narrativa classica il viaggio dell'eroe ha bisogno della continuità nella diversità, qualcosa deve rimanere fisso nell'eroe (il suo ego) perché i cambiamenti siano visibili; in Lynch il destino dell'eroe è perdersi ripetutamente.

Per un attimo Cooper è tornato a Twin Peaks, per un attimo il male, BOB, è sconfitto—la sovraimpressione della testa di Cooper potrebbe far pensare che tutto stia accadendo... importa esattamente dove e quando?—per un istante Diane è il grande amore di Cooper, persino Dougie può riunirsi a Janey-E e Sonny Jim... ma non c'è tempo, BOB era solo un male minore e Cooper, voglio dire Richard...

Come in un sogno—non lo è sempre stato?—tutto ciò che rimane sono simboli, archetipi, un motel, un addio, l'old west, un duello, una donna in pericolo, un cavaliere solitario, la promessa di riportare a casa, chi era più? Laura Palmer che però è Carrie Page e, comunque, è più Dolores Haze di quanto non sia Lolita quando apre la porta della sua casa in Texas. Lei non lo riconosce, Richard la riconosce a malapena. Twin Peaks è The Searcherers, solo scritto da Kafka.

E' difficile, forse inutile tradurre il significato di un'esperienza come The Return nell'esperienza di un significato. Come un cortocircuito, il bene e il male sono un chiasmo. Si inseguono attraverso tempo e spazio e infinite dimensioni, della loro guerra sono le prime vittime ma non le sole o le più importanti... Laura certo, ma anche le altre donne di Twin Peaks, Sarah Palmer, Norma, Shelly, Nadine... Audrey Horne —ovunque esista; e Diane, naturalmente, che Laura Dern interpreta con una potenza espressiva devastante, soprattutto nelle due scene: quella in cui racconta dello stupro di DoppelCoop cercando di estendersi, dal profondo del tulpa, verso il reale e verso la sua identità; e quella di sesso nel motel durante la quale Diane e Cooper sfumano e diventano Linda e Richard.

Ci sono cose meravigliose in The Return, vecchie e nuove, attori all'ultima uscita come Catherine Coulson (Loglady) e Miguel Ferrer (Albert), il ritorno di personaggi classici come Andy, Lucy, Hawk e Dr. Jacoby, l'amore di Norma e Big Ed che finalmente si realizza, Lynch in persona che offre una delle migliori interpretazioni dello show, Jim Belushi nel ruolo di uno dei fratelli Mitchum e una grandiosa Naomi Watts che con MacLachlan forma una coppia comica formidabile... Forse però l'invenzione più grande dello show è Dougie, il doppelgänger creato da DoppelCoop, il protagonista di uno spettacolo di bunraku che è una satira della passione americana per il denaro e un personaggio che riempiendo gli interstizi tra gli altri personaggi lascia che il bene o il male emergano spontaneamente, farsescamente. C'è un'umanità in Dougie, il tulpa, la marionetta, che non c'è in tutti gli esseri umani che lo circondano...

Detto questo, alla resa dei conti tutte le parole sono inutili. Twin Peaks è personale, universale, è fuori concorso, è un'opera d'arte.

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