martedì 19 dicembre 2017

TV: 2017 (II) - SENTIMENTALISMO ECC.

Questa è una lista, non una classifica. L'ordine è sparso. Di Twin Peaks: The Return parlo qui.

Sentimentalismo

La parola dell'anno dovrebbe essere "sentimentalismo". E' arrivata in volo a bordo di bianche colombe che si specchiavano impudicamente sulla faccia delle acque, è venuta giù dal cielo, melliflua, con il suo significato di ambrosia e fiordiloto e al suo passaggio ha soffocato tutto o quasi, come una bomba incendiaria o l'ottavo episodio di Twin Peaks: The Return.

Dove la nostalgia ha fallito (per il ventennio, gli anni settanta, ottanta, cinquanta, quando la donna era Lauren Bacall e l'uomo Humphrey Bogart, quando l'uomo era Humbert Humbert e la donna, insomma la bambina era Dolores Haze, per i tempi più semplici o comunque meno difficili...), dove la nostalgia fallisce il sentimentalismo vince a mani basse: non importa più se quando c'era "lui" i treni arrivavano (o no) in orario, perché qualcosa ci lega più profondamente a "quei tempi" di quanto non faccia il Nuovo Grippaudo, o almeno c'è sempre qualcosa, qualsiasi cosa, basta spremere il cuore su una svastichella o uno stupro—se c'era amore—o un abuso o l'irrilevanza di tutti i maschi bianchi che non appartengono all'1%...



Il sentimentalismo sta alla nostalgia come un AR-15 (il fucile usato dall'attentatore di Las Vegas) sta a una fionda. E' per questo che è impossibile smettere di guardare This Is Us o The Good Doctor (il secondo molto meglio del primo) o BoJack Horseman se è per questo: sono tutti prodotti del sentimentalismo più spicciolo e infettivo, tanto quanto lo sono Trump o Theresa May, la maggior parte dei subreddit o delle critiche televisive, Dunkirk o Blade Runner 2049 o The Last Jedi.

A onor del vero, The Good Doctor funziona alla perfezione viceversa, quando il protagonista autistico (il Dr. Shaun Murphy interpretato da Freddie Highmore) rifiuta proprio il sentimentalismo che proviene da tutti gli altri personaggi e che David Shore (House) è abile nel presentare anche sotto forma di saltuario cinismo, cioè come una forma arzigogolata di sentimentalismo per qualcos'altro... è per questo che vale davvero la pena guardare questo show, almeno finché sarà possibile sopportare quegli episodi in cui il sentimentalismo spadroneggia solitario, ovvero quando non si sa più se a passare sullo schermo è un medical o un family drama, che so This is Us.

Il sentimentalismo, e questa è la vera notizia del 2017, non ha risparmiato nemmeno David Simon (The Wire, Treme). The Deuce è una versione affettata e romantica, in fin dei conti sdolcinata del business della pornografia. Sullo sfondo della New York degli anni '70 si muovono una serie di personaggi, una Maggie Gyllenhaal, due James Franco (che interpreta una coppia di gemelli), un Sobotka, un D'Angelo... Tutto è piuttosto indefinito in The Deuce e il problema non è tanto che i gemelli, per come li caratterizza Franco, potrebbero tranquillamente essere un solo personaggio, fra l'altro molto più interessante, ma che tutti i personaggi sono più o meno lo stesso personaggio... La monotonia è interrotta di quando in quando da scene grafiche di sesso o violenza, in mezzo a uno squallore talmente glamorizzato che sembra uscito non dalla realtà ma dal feed di un account Instagram. Il razzismo è quasi invisibile nel mondo creato da Simon e Pelecanos per The Deuce e il sessismo è a malapena percepibile, se non addirittura concepibile, ma la cosa, o le cose più sconcertanti sono da un lato la totale omissione del ciclo desiderio-consumo-dipendenza, dall'altro la rappresentazione dei rapporti di potere fra uomini e donne come inerenti al genere piuttosto che come risultato di millenni di dominio, in primo luogo economico, del maschile... Invece di spaccare il mondo di fronte ai recenti scandali di Hollywood, The Deuce manca di tempismo e acume, e si offre come un conforto per questi tempi duri dimenticando forse che il mestiere più antico non è la prostituzione ma la servitù, e che per una singola prostituta liberata dal porno c'è un esercito immenso di schiave sessuali.


Best Thing

Better Things proveniva da una stagione mediocre e solo durante l'ultimo episodio, Only Women Bleed scritto da Adlon e Louis CK, aveva lasciato intravedere quello che avrebbe potuto essere, cioè quello che è adesso. Non è Roseanne, i problemi della famiglia di Sam Fox sono perlopiù di lusso e bianchi come il latte (non è manco lontanamente Black-ish), ma Adlon e CK destrutturano non solo la comedy classica ma anche quella contemporanea a tal punto da renderle entrambe irriconoscibili e trasformarle in qualcosa di mai visto. Episodio dopo episodio Better Things smonta i luoghi comuni e gli stereotipi—anche quelli più raffinati—della TV comica esaltando sentimenti irreparabili e mostrando che non esistono rimedi confortevoli alle tensioni familiari. Non c'è un solo episodio che non sia indimenticabile ma Eulogy e Arnold Hall, che parlano rispettivamente di morte e origini familiari, sono due gemme. La migliore TV del 2017.


Metarologie

Domani potrebbe piovere—o dopodomani—ma potrebbe anche non piovere. Se Dio è un diluvio dobbiamo avere fede che prima o poi ci cadrà addosso... Eppure, tutto lo sforzo della scienza (e della televisione se è per questo) è dimostrare che il diluvio è già passato, che tre quarti degli insetti si sono estinti nel primo scorcio di millennio, i ghiacciai sono già acquetta, una folla di zombie affamati bussa alle porte della tua patria e l'unica cosa che ci tiene insieme, se ci tiene, è... l'amore?

The Leftovers passa la soglia del terzo reboot e vuole farsi commedia o vangelo, o dirci che ogni vangelo potrebbe tranquillamente essere letto come una commedia (macabra). Senza raggiungere le altezze dell'anno scorso—onestamente vivendo un po' di rendita—lo show di Lindelof e Perrotta regala, a seconda dei gusti, momenti sublimi o paradossali e un finale in qualche modo ottimista che chiede un atto di fede più grande di quello di Lost...

Intanto, in un'altra dimensione (chiamata realtà) non è il 2% degli uomini a scomparire ma una percentuale enorme di tutti gli altri esseri viventi... Qualcuno ha coniato l'espressione "nature porn" per i documentari di David Attenborough ma Blue Planet II, come Planet Earth II, è pornografia solo per un occhio che vede nella bellezza della natura esibizionismo invece di fragilità. Non solo Blue Planet II ci mostra una biodiversità letteralmente incredibile ma anche gli effetti distruttivi della nostra invasione di mari e oceani.


Line of Beauty

C'è simmetria tra la seconda stagione di Line of Duty e la quarta, e non esclusivamente in termini di eccellenza. I personaggi interpretati da Keeley Hawes e Thandie Newton sono diversi (e condividono diversi gradi di sociopatia situazionale e colpevolezza) però sono entrambi dei grandi villain che reagiscono alle accuse manipolando qualsiasi cosa gli passi sottomano (prove, persone e informazioni) ma anche lottando tenacemente contro il sessismo fuori e all'interno del corpo di polizia. Line of Duty rivela pian piano le sue carte in un crescendo che, a differenza dell'anno scorso, si sviluppa senza intoppi e, alla fine, infrange l'illusione di una spiegazione dogmatica di qualsiasi crimine. Come il personaggio interpretato da Hawes, quello interpretato da Thandie Newton è al contempo vittima e colpevole, e noi sappiamo già che la giustizia gli riconoscerà non quello che ha subito ma soltanto quello che ha fatto.


Rick & Morty & Rick & Morty & Rick...

Anche se la terza stagione di Rick and Morty fosse composta da un solo episodio—The Ricklantis Mixup—sarebbe entrata comunque in questa lista. Invece è la stagione nella sua interezza a reggere tranquillamente il confronto con il meglio della TV del 2017. The Ricklantis Mixup, che è un episodio completamente dedicato alla Cittadella, è una geniale rappresentazione della diseguaglianza e della lotta di classe, del controllo e della violenza politica e, soprattutto, è un saggio di entropia sociale: è impossibile rimettere insieme le classi che hai diviso, anche quando quelli che ne fanno parte sono, di fatto, lo stesso individuo.


Il resto

Big Little Lies è un palco per grandi attrici (su tutte Laura Dern e Nicole Kidman) che si muovono all'interno di una storia suburbana meno interessante di quanto non siano i personaggi. Gli abusi domestici mostrati nello show sembrano premonire la valanga dello scandalo Weinstein, anche se sarebbe meglio leggerli come qualcosa di molto meno glamour e molto più prosaico e diffuso. Questa sarebbe televisione ma a Nicole Kidman dovrebbero dare comunque un paio di Oscar per la parte della moglie abusata.

La seconda stagione di Top of the Lake è molto più urbana e molto meno primordiale della prima. E' anche molto meno precisa e molto più confusa. Come Big Little Lies è soprattutto un palco per le sue attrici (Elisabeth Moss, Gwendoline Christie e ancora Nicole Kidman) che offrono grandi interazioni e grandi momenti drammatici.

Halt and Catch Fire è come gli ultimi minuti della 25° Ora di Spike Lee: per un attimo tutto è, era o è stato possibile. Poi, a ridosso degli ultimi episodi muore Gordon e, se guardiamo la realtà al di là di questo show che è migliorato di episodio in episodio, di stagione in stagione, dovrebbe atterrirci l'idea che il prossimo omino che verrà a mettere a posto la banda larga potrebbe essere un robottino.

Due show, Crazy Ex-Girlfriend e Black-ish, hanno fatto un salto di qualità rilevante. Non solo Rachel Bloom ha portato Rebecca nel lato oscuro rivitalizzando la soap stantia dello show e aprendosi maggiormante alla complessità della malattia mentale, già che c'era ha migliorato i numeri musicali e le canzoni (e se guardate con attenzione, Crazy Ex-Girlfriend è più Alias Grace di quanto non sia Alias Grace)... Una generale ristrutturazione del format di Black-ish—in sostanza meno ufficio—è bastata per dare respiro ai subplot familiari e, soprattutto—finalmente—agli elementi più politici dello show.

Search Party, alla seconda stagione, si perde in paranoie, sensi di colpa e ricatti. Solo a tratti si risveglia dal torpore del successo critico della prima stagione ma non basta.

L'osannato The Good Place è, alla resa dei conti, una comedy su come si scrivono le comedy, con tempi comici perfetti e inversioni delle aspettative molto originali. Ted Danson e Kristen Bell potrebbero fare tutti i personaggi e non noteremmo la differenza. Spesso brillante, talvolta già visto è preferibile a You Are the Worst (quest'anno un episodio sì, uno no) o Catastrophe o Insecure solo se siete allergici alla senape con la maionese con il ketchup con il rafano.

The Handmaid's Tale e Alias Grace, entrambi adattati da libri di Margaret Atwood, hanno chiaramente un valore situazionale immenso che, tuttavia, non corrisponde alla qualità di nessuno dei due show. Vincendo il tedio, è meglio Alias Grace anche se di poco.

Stranger Things 2 è largamente inferiore all'1 e, soprattutto: uccidere Sean Astin è stata, come direbbe Fantozzi, una cagata pazzesca. Mindhunter è avvincente mentre lo guardi, solo okay dopo qualche giorno. Holden, il personaggio interpretato da Jonathan Groff saremmo noi con la nostra passione/fascinazione per i film e gli show coi serial killer, solo che la metafora scricchiola più volte o, forse, Fincher non rischia mai abbastanza. Qualcosa non funziona come dovrebbe. American Vandal, un mockumentary sullo stile di Making a Murderer, ha lo stesso problema (oltre a un paio d'ore di troppo), se no sarebbe un piccolo capolavoro.

The Crown è eccezionale ma non fa per me. Broken, invece, fa per me come qualsiasi cosa abbia mai scritto Jimmy McGovern (Cracker, The Lakes, The Street) ma, probabilmente, non è per tutti. The Gifted è lo show più promettente che per ora ha quasi mantenuto tutte le promesse ma se lo guardi attentamente sai anche che potrebbe fare molto meglio... Liar cambia troppe volte genere ma ha i suoi momenti. The Good Fight è per nostalgici.

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