domenica 13 aprile 2014

LA FINE DI MAD MEN E' ANCHE LA FINE DI UN'ERA

E' con un sospiro di sollievo che dovremmo accogliere la stagione finale di Mad Men, anche se AMC (il network che manda in onda questo show sugli anni '60 scritto da Matthew Weiner), forse pensando che in televisione esistono ancora le mezze stagioni, ha deciso di spalmare su due anni gli ultimi 14 episodi.

Questa strategia, che AMC ha già utilizzato con lo show Breaking Bad, potrebbe avere un nome quale Ibernation Economy o Coma Business Model o, se non è troppo lungo, Eugenical Pseudo Darwinist Nazi Design, per sottolineare il fatto che la TV ha raggiunto la più alta forma di raffinazione, il compromesso ideale fra qualità e procrastinazione, ha sviluppato il sistema più efficiente per "lasciar morire tenendo in vita".

Con gli show televisivi si è sempre trattato di tirarla il più possibile per le lunghe, purtroppo a scapito di originalità, credibilità e tensione narrativa, ma alla fine della "golden age" della TV si sono scoperte due cose: che è sempre meglio finire le storie e che è meglio farlo quando tendono a esaurirsi da sole. Infatti, se non fosse per la coincidenza di tre o quattro show di altissimo livello (tre, per la precisione, The Sopranos, The Wire e Mad Men; il quarto sarebbe Deadwood, se avesse un finale), la "golden age" televisiva potrebbe essere tranquillamente ridotta al perfezionamento di un modello di business già di per sé molto efficace.

Tutto considerato, e questo dovrebbe un minimo allarmarci, la "golden age" della TV corrisponde alla "dark age" dell'intelligenza umana, a frotte di fan idioti che implorano manco lo showrunner ma una qualche impersonale divinità catodica gridando cose tipo, Per favore per favore non uccidere il mio personaggio preferito, Non separare quei due là, Ti prego ti prego, Non lo vedi che sono fatti l'uno per l'altra, Se no guarda che non vedrò mai il tuo show del cazzo, brutto bastardo, Anzi, non accenderò più, mai e poi mai più, la televisione, eccetera; senza contare l'esercito di critici della domenica (ma sarebbe meglio dire Anal Recapper Major League) che invade Internet dopo ogni episodio per vivisezionare, voglio dire, no, meglio, per fare l'autopsia a ciò che è appena andato in onda (si dice post mortem, infatti). L'iper analisi non è mai un buon segno né possono esserlo l'insana confusione tra finzione e realtà o l'esagerato investimento emotivo in un medium che non mira quasi mai alla catarsi ma, come la pubblicità, all'immedesimazione con il proprio prodotto (io sono ciò che mangio, come mi profumo e ciò che guardo). In questo senso, il già citato Breaking Bad, che potrebbe essere il quinto "più grande" e funziona come il più grande spot mai girato per il Male, è un esempio di come funziona la televisione nella sua interezza.

La TV non ha inventato l'umanità desolante che pensa a Scarface come a un eroe da emulare ma se l'è trovata addosso, perfetta per i suoi scopi, anche se fra i suoi scopi, timidamente, c'è il tentativo di dare una qualche morale. Il mondo era già pieno di fan di Scarface quando la storia di Breaking Bad (Mr. Chips che diventa Scarface, proprio nelle parole del suo creatore Vince Gilligan) è salpata dalla televisione e, indipendentemente dalla qualità e dal passo letterario dello show, è diventata il sogno bagnato di molti spettatori. Questo sogno bagnato, la TV non può o non riesce a infrangerlo perché, a differenza per esempio del romanzo, è vessata da limiti invalicabili, o quasi. Purtroppo, un'immagine in televisione non vale più di mille parole.

Così, in Breaking Bad possiamo assistere al dramma personale del protagonista Walter White e dei suoi familiari ma cosa implichi poi il cucinare in maniera molto figa metanfetamine blu o rapinare un treno in stile Steve McQueen, rimane nella venerabile nebbia delle teste girate dall'altra parte. Solo in The Wire vediamo le conseguenze di un'attività simile a quella di Walter White, quando, per esempio, sullo schermo passa la "desolation row" delle Torri o del ghetto di New Amsterdam, e solo in The Wire emerge la causalità tragica dell'agire umano, la conseguenza delle proprie azioni, che sia l'agire criminale o quello della legge (a volte tragicamente inscindibili). Direte, ma cazzo Walter White fa male ai bambini! E certo, secondo i paradigmi storici del Male, non c'è niente di peggio che fare il male ai bambini. O forse la verità è che c'è di peggio, soprattutto quando i bambini sono immaginari...

Breaking Bad e, in misura differente, The Sopranos utilizzano quello che potremmo chiamare il "paradigma del Padrino", cioè il Male fatto in nome della famiglia. Nel film di Coppola la famiglia è un'ipocrisia romantica, in The Sopranos è un'ipocrisia nevrotica e in Breaking Bad un'ipocrisia eroica. L'ipocrisia qui non è un alibi o una bugia ma una simulazione così profonda a causa della quale non possiamo dubitare che Don Vito, Tony Soprano e Walter White credano veramente di fare quello che fanno in nome di un principio superiore, cioè che il fine giustificherà i mezzi. Solo che, mentre The Godfather è un'immensa genealogia dell'ipocrisia che sfocia idealmente nell'anarchia morale di The Wire e The Sopranos è un esperimento per stressare l'anarchismo morale della psiche contemporanea - l'anello mancante fra Don Vito e Omar - Breaking Bad è una glorificazione dell'ipocrisia: un'immedesimazione senza conseguenze (in fondo Walter sa già che dovrà morire). Lo show di Vince Gilligan ha altri pregi, per esempio cerca di ricostruire il sorgere del Male e racconta brillantemente il decadimento della "middle class" (la cui esaltazione per Tony "Scarface" Montana potrebbe essere uno dei sintomi), ma lo fa nella confezione ipocrita della "golden age" televisiva, in nome della quale può essere giustificata qualsiasi storia.

Più che un classico costrutto autoreferenziale, però, la "Golden age" è il sistema immunitario della TV, il tentativo per esempio di non far accadere mai più qualcosa come The Wire (l'incubo corporativo per eccellenza, pochi spettatori e qualità eccelsa) o, per meglio dire, il tentativo di continuare a venderci all'infinito scontri fra gladiatori ("we are gladiators", urlano di continuo in Scandal) e cristiani sbranati da bestie feroci (Game of Thrones fa entrambe le cose e molto di più, anche battaglie navali), nonostante The Wire. 

E poi c'è Mad Men, uno show che, fra le altre cose, riflette sulla genesi della creatività e sul rapporto di questa con l'ambiente corporativo (vedi i processi produttivi in TV). Arrivando alla fine della "golden age", la sancisce e al contempo la destituisce, ne mostra l'ipocrisia facendo dell'ipocrisia il tema centrale del suo discorso. Già di suo, Mad Men è la storia di una falsa "golden age", gli anni '60, un'epoca luccicante sotto alla quale, per citare le parole di Jon Hamm in una recente intervista, tutto stava marcendo; tuttavia questo è solo il punto di partenza non quello d'arrivo, la scusa per raccontare una storia, non la storia. La vera storia è questa: una persona è solo una grande illusione (l'intrattenimento è solo una grande illusione).

Quello che Don Draper dice ai dirigenti della Lucky Strike nel pilot di Mad Men ("this is the greatest advertising opportunity since the invention of cereals") è probabilmente una delle singole frasi più importanti di questo secolo, non solo perché è applicabile a qualsiasi cosa (la televisione fa schifo, potrebbe essere stato il pitch dell'autore di The Sopranos David Chase alla HBO, e questa è una delle più grandi occasioni televisive dall'invenzione di Twin Peaks), ma perché è il mantra, e l'alibi, dell'identità.

A differenza di Breaking Bad e come nei Soprano (Matthew Weiner prima di Mad Men aveva scritto per questo show), Mad Men ci mostra tutte le conseguenze della incessante reinvenzione dell'identità. Chi è Don Draper? Non importa, perché Don Draper, come ogni identità, è un MacGuffin, perché non esiste alcuna identità dopo che l'uomo è stato azzerato (durante la Seconda Guerra Mondiale?). E chi non guarda Mad Men per i vestiti strafighi o perché si immedesima con Don (Jon Hamm, giustamente, dice che è assurdo immedesimarsi con un tale alcolista figlio di puttana) deve confrontarsi con questa angosciante rivelazione, cioè il fatto che anche quando crediamo di essere noi stessi, siamo qualcun altro. E cosa vuole, angosciosamente, disperatamente quel qualcun altro?

Vuole essere riconosciuto, cioè dominare la realtà, perché dominare la realtà significa dominare la morte... così come dominare l'intrattenimento significa dominare la vita.

La quinta stagione di Mad Men, per ora un insuperato, forse insuperabile, capolavoro televisivo, potrebbe essere incardinata su questa domanda: come faccio a vendere l'arma di (auto)distruzione di massa più potente al mondo, cioè l'automobile? Come faccio a vendere un'arma di distruzione di massa? Estendiamoci: come faccio a vendere carboidrati, zuccheri, sigarette, intrattenimento? Come faccio a vendere la distruzione di massa?

Ogni volta che la parola "binge" precede un verbo dovremmo preoccuparci, binge-eating, smoking, watching, e se ogni dipendenza da una qualsiasi "droga" cambia i nostri circuiti neurali, e se, come è stato scoperto di recente, ogni dipendenza da cibo, pornografia, gioco d'azzardo, persino i francobolli, cambia i nostri circuiti neurali nello stesso modo, se ogni dipendenza, indipendentemente dalla cosa da cui dipendiamo, modifica il nostro cervello, perché non dovrebbero la dipendenza dalla pubblicità, dall'intrattenimento (il binge-watching), dal consumo, dall'identità, che poi sono la stessa cosa?

C'è un momento in cui Don ci piace ed è quando smette di bere, quando scrive la lettera sul fumo dicendo che la SCDP non farà mai più pubblicità alle sigarette, un prodotto che si vende da solo, che non ha bisogno di alcuna pubblicità (sì, ce l'ha, perché ha bisogno, come tutti, di un'identità); è solo in quel momento che la sua identità, l'identità di Don come geniale pubblicitario, sfugge alla fuga dall'identità (diventa ciò che sei, diceva Nietzsche, che poi può significare: non essere solo ciò che sei), ed è solo in quel momento che possiamo per un attimo immedesimarci con la possibilità reale di una reinvenzione, cioè con una liberazione.

Uno dovrebbe leggere o rileggersi l'Arcobaleno della Gravità e Infinite Jest uno dietro all'altro per capire, per intendere il cane di Pavlov che vive dentro di noi. Dovrebbe anche guardarsi Mad Men, la storia dell'uomo meno libero in televisione, del radicale opposto di Walter White, il quale è un uomo per cui l'identità, qualsiasi essa sia, come per molti, troppi uomini è un'estasi continua. Per Don Draper, come per noi che guardiamo, l'identità — alla mercé della dipendenza — è solo un boiler.

0 commenti:

Posta un commento