domenica 6 dicembre 2015

LO STATO DELLA TV NEL 2015

Tra il 2011 e il 2014, il totale delle entrate pubblicitarie di Internet (49.5 miliardi di dollari) ha superato sia quello dei broadcast network (40.5) sia quello dei cable network (25.2). E' un dato generico che andrebbe valutato tenendo conto dei profitti per dollaro (molti più alti in TV e persino in radio), del fatto che la pubblicità televisiva costa molto più di quella online e di molti altri dettagli, tuttavia è anche un dato coerente con un trend, che non richiede analisi molto complesse, caratterizzato dal relativo decrescimento dell'audience televisiva (negli ultimi trent'anni gli spettatori sono rimasti più o meno gli stessi a fronte di una crescita demografica del 30%) e dal ricambio generazionale dei telespettatori, molti dei quali preferiscono altri media.

Considerando il fatto che la visione in diretta non è più la modalità principale di utilizzo del medium televisivo e che la frammentazione degli spettatori è radicale*, la TV nella sua forma attuale può essere già considerata, rispetto alle esigenze della pubblicità, un medium obsoleto (anche se il suo abbandono non è imminente).

* Fatta eccezione per i fenomeni The Walking Dead e Empire, oggi un rating prime time di 2.0 punti è considerato un successo; solo quindici anni fa c'erano almeno venti scripted show con un rating medio di 10.0-15.0 punti e picchi di 28.0-29.0 punti — Friends e ER, per esempio.




Come sempre, dobbiamo separare la TV come medium dai suoi contenuti i quali, come abbiamo visto più volte, si adattano sia a una pluralità di nuovi media sia a una pluralità di modalità di fruizione di questi nuovi media. Se a prima vista questa plasticità dei contenuti televisivi potrebbe sembrare una delle ragioni principali del declino della TV (in parte è così), in realtà la possibilità di fruire dei contenuti televisivi attraverso altri media ha meno a che fare con gli investimenti pubblicitari, e dunque con la sopravvivenza della TV, di quel che potrebbe sembrare. Se gli investimenti pubblicitari si spostano dalla TV a Internet, non è perché oggi è possibile guardare online il tale o tal'altro contenuto televisivo ma perché il consumo di contenuti audio-visivi prodotti specificamente (o principalmente) per Internet è immensamente superiore a quello di contenuti televisivi.

E' in questo modo, cioè attraverso una concorrenza asimmetrica, che Internet sta pian piano soppiantando la TV nel cuore degli inserzionisti e attirando nella sua sfera mediatica i principali contenuti televisivi, a cominciare dagli scripted show. Non è con le armi della TV che Internet sta vincendo la guerra dei media, ma con le sue armi e con una strategia di assimilazione dei contenuti televisivi che corrisponde, in sostanza, a un disarmo dell'avversario.

Infatti, anche quando i contenuti audiovisivi p.e. di YouTube o Facebook sono relativi o correlati alla TV, non sono quasi mai contenuti specificamente televisivi e, come dimostra il recente accordo tra Facebook e la NFL, sono proprio quei contenuti non televisivi che oggi attirano i grandi investimenti pubblicitari. Al contempo, i contenuti specificamente televisivi "passati al nemico", come p.e. gli scripted show, vengono via via inglobati all'interno di modelli di business che possono anche fare a meno della pubblicità, come i provider di contenuti (p.e. Netflix) o il vecchio modello pay-per-view aggiornato (per esempio, il negozio di iTunes, Amazon Prime o il recente HBO GO).

Ciò significa che, passando dalla TV a Internet, il contenuto televisivo (o la sua forma) assume una funzione diversa: non è più il catalizzatore di un medium, quello televisivo, e il simbionte della pubblicità ma un contenuto consumabile-rinnovabile (nel caso, per esempio, di HBO GO o Amazon Prime) o un contenuto che crea brand e, diciamo così, massa gravitazionale insieme a tutti gli altri contenuti offerti da provider come Netflix.

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Ciò che accomuna i due modelli di business è la convergenza verso un unico, ipotetico modello comune che, per ora, può essere definito solo circolarmente come in una frase di Ted Sarandon, il Chief Content Officer di Netflix: "il nostro obiettivo è diventare HBO più rapidamente di quanto HBO possa diventare noi", dove HBO sta per il più grande content provider di contenuti originali di qualità al mondo. La strategia di HBO non sembra però finalizzata a diventare una sorta di Netflix o di Netflix 2.0, quanto piuttosto a rimanere HBO transitando senza grandi smottamenti dal cavo a Internet, cioè continuando a offrire quello che offriva prima, con le stesse modalità ma in rete.  Riuscire a sopravvivere su Internet continuando a comportarsi da TV è un'impresa che forse solo HBO potrebbe compiere, grazie al semplice fatto che può fare affidamento su una vasta libreria di contenuti originali di altissima qualità e su una macchina produttiva efficientissima. Per quel che riguarda gli altri cable network, è difficile dire quali potrebbero sopravvivere da soli in una economia extra televisiva.

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Ora, nell'economia attuale, nel caso dei broadcast network è principalmente la pubblicità a pagare anche per tutto ciò che gli spettatori non guardano, nel caso dei cable network sono principalmente gli spettatori-sottoscrittori a pagare anche per ciò che non guardano. In entrambi i casi, ciò che nessuno guarda (che varia da spettatore a spettatore, da fascia demografica a fascia demografica) può essere immaginato come una sorta di materia oscura della TV, quel 90% della programmazione che riempie lo spazio televisivo senza caratterizzarlo ma che è una condizione necessaria (anche produttivamente) per il rimanente 10%, cioè per i programmi che fanno brand e audience e, dunque, fidelizzano lo spettatore.

Da questo punto di vista, il modello della TV (sia broadcast sia cable) è estremamente dispersivo rispetto a quello di Netflix perché, escludendo i programmi in syndication, la TV deve riprodurre la sua massa gravitazionale ogni anno o, in altre parole, ogni anno deve ricominciare da capo da nuovi contenuti che si aggiungono ai pochi, vecchi contenuti che funzionano, cioè a quelli che superano la massa gravitazionale minima definita dai rating. Non solo, essendo questi contenuti programmati settimanalmente, la TV aggiunge massa a poco a poco, seguendo una strategia di fidelizzazione che indubbiamente è adatta al suo modello economico aciclico ma che, come più volte si è visto, è anche un'arma a doppio taglio: lo spettatore si de-fidelizza più rapidamente di quanto non si fidelizzi.

Senza concorrenza, questo modello di business ha funzionato che è una gioia. Con l'arrivo di Netflix, Hulu, Amazon e simili non sono tanto cambiate le regole della "fisica dell'intrattenimento", quanto piuttosto è come se qualcuno avesse trovato il modo di ottenere gli stessi risultati in maniera più economica e efficiente. Con Netflix i programmi che non vede nessuno, la materia oscura della TV, sono diventati improvvisamente importanti, non quanto quelli che tutti vedono ma come quei programmi che un giorno qualcuno guarderà o, semplicemente, quelli che uno potrebbe guardare adesso (anche se non lo farà), e la cosa vale a maggior ragione per i provider di contenuti audiovisivi specifici per la rete come YouTube o, recentemente, Facebook. Un'offerta che travalica sincronicamente la domanda non lascerà mai insoddisfatto l'utente.

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La situazione, dunque, è questa: da un lato abbiamo i vecchi network televisivi che cercano di modernizzarsi, dall'altro nuovi network (Netflix ecc.) che cercano di essere un po' come quelli vecchi e in mezzo, o meglio, intorno network iper moderni (YouTube ecc.) che offrono in prevalenza contenuti alternativi sia ai vecchi sia ai nuovi network.

E' un tipico mexican standoff, di fronte al quale la pubblicità aspetta al varco il primo che farà un passo falso.

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